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2015/09/11

“Ma a chi possono mai interessare i miei dati?”

Uno degli ostacoli principali nel sensibilizzare un utente al problema dell'emorragia di dati personali che subisce quando usa le app gratuite, partecipa ai social network o naviga in Rete senza precauzioni è l'idea molto diffusa che nessuno è interessato ai suoi dati. Cosa se ne potranno mai fare?

È semplice: soldi. Tanti soldi.

La University of North Carolina Kenan-Flagler Business School ha compilato un'infografica che rivela dati e cifre di un'industria poco conosciuta: quella dei data broker, ossia delle aziende che raccolgono informazioni personali sui consumatori attingendo a varie fonti pubbliche e meno pubbliche e le rivendono ad altre società commerciali.

Per esempio, uno studio di nove dei principali data broker statunitensi ha calcolato ricavi per circa 426 milioni di dollari nel 2012, ottenuti vendendo informazioni per tre scopi principali: marketing, riduzione dei rischi e ricerca di persone.

I dati di marketing sono piuttosto intuitivi: indirizzi postali o di mail o numeri di telefono di consumatori, usati per personalizzare le offerte pubblicitarie, che fruttano circa 200 milioni di dollari. Meno ovvi sono i dati di riduzione dei rischi, ossia i dati di identificazione personale per la verifica dell'identità di una persona, usati per esempio per rilevare tentativi di frode o per confermare i dati forniti da un candidato a un posto di lavoro; valgono circa 180 milioni di dollari. I dati per la ricerca di persone valgono una cinquantina di milioni e vengono usati da individui e organizzazioni per cercare e tracciare le persone per varie ragioni, come fanno per esempio i vari siti per ritrovare i compagni di scuola.

Anche i tipi di dati che fanno gola ai data broker sono interessanti: nomi e cognomi, indirizzi postali e di mail, date di nascita, età, sesso, religione, affiliazione politica, stato coniugale, metodi di pagamento preferiti, ammontare degli acquisti di beni, reddito e affidabilità creditizia sono ovvi. I dati sulla salute, come per esempio il consumo di tabacco e gli acquisti di farmaci, sono altrettanto evidenti, e includono anche la statura, il peso e la “propensione alle ricerche online di malattie e ricette mediche”: pensate a tutte le volte che avete cercato informazioni su una malattia e avete quindi fornito dati preziosi ai broker.

Meno ovvi sono invece dati come i legami di amicizia, l'uso di dispositivi mobili e i tipi di contenuti pubblicati nel social network, oppure il valore della casa e l'ammontare dell'eventuale prestito per il suo acquisto e il suo tasso d'interesse, la propensione per il gioco d'azzardo, il numero e l'età dei figli e il loro inquadramento scolastico, oppure informazioni sui viaggi, come la data dell'ultimo viaggio acquistato e il prezzo massimo pagato.

Va notato che lo studio risale al 2012, quindi a prima dell'attuale boom dell'Internet delle Cose, che fa confluire nei depositi dei data broker anche le informazioni sui vostri spostamenti in casa, le vostre pulsazioni e altri parametri tramite i dispositivi di fitness e di domotica.

A chi possono interessare i vostri dati? A tanti. Pensateci, la prossima volta che cercate qualcosa su Google o immettete le vostre informazioni in un sito.

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