Fonte: BBC. |
Sta cominciando a circolare la notizia (Motherboard, Washington Post, Huffington Post Italia, Stephen Colbert, Ars Technica) che Facebook avrebbe attivato un sistema per combattere la diffusione di immagini intime non autorizzate (il cosiddetto revenge porn) che consisterebbe nel mandare a Facebook volontariamente le foto di cui si vuole bloccare la circolazione: un apparente controsenso.
In realtà, nota Sean Sullivan di F-Secure e scrive la ABC australiana il 2/11, c’è soltanto una collaborazione fra Facebook e una piccola agenzia governativa australiana per la sicurezza online, l’ufficio dell’e-Safety Commissioner. In Australia, una persona che è vittima di abuso delle proprie immagini può contattare questo ufficio e segnalare il problema; solo a questo punto l’ufficio può invitare la vittima a inviare le immagini via Facebook Messenger, ma a se stessa, e poi etichettare queste foto come “immagini intime non consensuali”, secondo Motherboard.
Questo consente a Facebook di generare un hash della foto, ossia una sua rappresentazione matematica che è una sorta di impronta digitale. La foto in sé non viene conservata a lungo termine da Facebook, e dall’hash non è possibile ricostruirla, ma se qualcuno mette quella specifica foto su Facebook (o su Instagram, che fa parte della famiglia di Facebook), il social network può riconoscerla (perché ha lo stesso hash) e bloccarla, anche se è parzialmente alterata. La tecnologia di generazione di questo hash, segnala il Guardian, si chiama PhotoDNA ed è stata sviluppata da Microsoft; è la stessa usata per trovare e rimuovere le immagini di abusi su minori e immagini di movimenti estremisti.
L’Australia è uno di quattro paesi che stanno sperimentando questa nuova funzione, secondo quanto ha dichiarato Antigone Davis, responsabile globale per la sicurezza di Facebook, citato da ABC. Non è chiaro, al momento, se questa sia un‘evoluzione del servizio di photo matching contro gli abusi annunciato da Facebook ad aprile 2017.
Dato che inviare una foto a se stessi tramite Messenger comporta inviarla a Facebook, esiste comunque il rischio teorico che qualche dipendente delsocial network possa accedere a quella foto prima che venga cancellata dopo la generazione del suo hash. In effetti, dopo la pubblicazione iniziale di questo mio articolo, Daily Beast ha ricevuto da Facebook una dichiarazione non ufficiale secondo la quale le foto inviate saranno esaminate da un dipendente di Facebook e non da un sistema automatico. L‘esame è necessario, dice Facebook, per verificare che le immagini siano realmente da considerare revenge porn.
...prior to making that fingerprint, a worker from Facebook’s community operations team will actually look at the uncensored image itself to make sure it really is violating Facebook’s policies [...]. Facebook will keep hold of these images for a period of time to make sure that the company is correctly enforcing those policies. Here, images will be blurred and only available to a small number of people, according to the Facebook spokesperson. An individual employee at Facebook, however, will have at that point already examined the un-blurred versions.
Viene spontaneo chiedersi come mai l’hash debba essere generato mandando la foto a Facebook invece di farlo localmente sul proprio smartphone, che ha presumibilmente una potenza di calcolo sufficiente per farlo. La spiegazione più probabile è che se l’hash venisse generato dall’utente, Facebook non avrebbe modo di verificare che il contenuto della foto è davvero revenge porn e questo consentirebbe di manipolare il servizio (per esempio mandando l’hash di una foto politicamente sensibile che si vuole far sparire).
Sean Sullivan segnala inoltre una collezione utilissima di link ai servizi di segnalazione di abusi dei principali social network. Da parte mia, segnalo le raccomandazioni di Facebook su cosa fare se qualcuno condivide senza il vostro permesso una vostra foto intima.
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