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2017/11/07

Il Delirio del Giorno: #BastaBufale e l’assalto dei Kitipaka

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete farne una anche voi per incoraggiarmi a scrivere ancora. Ultimo aggiornamento: 2017/11/08 8:55.

La mia recente partecipazione all’iniziativa #BastaBufale della Presidenza della Camera, e in particolare la presentazione del decalogo e della miniguida tecnica per non farsi fregare dalle fake news di ogni provenienza, ha scatenato da un paio di giorni su Twitter un’orda di commentatori inferociti, verbalmente offensivi e violenti, che hanno rigurgitato una pioggia di domande dal tono leggermente inquisitorio.

Non sono mancate le accuse di elusione fiscale, di partecipazione a un piano di censura politica, e neanche gli scivoloni sessisti (questi ultimi nei confronti dell’attuale Presidente della Camera, Laura Boldrini). Insomma, uno spettacolo davvero deprimente ma molto educativo: molti utenti, infatti, non hanno idea della cloaca mentale che si incontra sui social network.




Provo a riassumere qui la vicenda, che per il suo svolgimento e soprattutto per il suo (attuale) epilogo merita di essere raccontata nella mia consueta rubrica Il Delirio del Giorno.

Quest’orda sorprendentemente coordinata, invece di dedicarsi al commento e alla critica del decalogo e della guida, ha preferito ignorare completamente il messaggio e concentrarsi sul lanciare accuse al messaggero: io. In particolare, tutti vogliono sapere quanto sono pagato, e anche chi di preciso mi paga, per partecipare a questo torbido progetto di oscurantismo governativo:





C’è anche chi mi accusa di spionaggio:



Ebbene sì: la pubblica amministrazione italiana spende circa 1 milione e 600 mila euro al minuto, ma c’è parecchia gente che si ossessiona sui dettagli del mio eventuale compenso, come qui:



Oppure qui, quando ho risposto che come giornalista informatico libero professionista lavoro per chi mi dà un incarico:



Non ho saputo resistere, e ho risposto con l’aiuto grafico di @AndTheBad:



C’è anche questa perla:



Gente che mi critica ma non sa neanche la differenza fra debugger e debunker.

Ma l’applauso per il lapsus freudiano dell’anno va a questo:



A questa torma insistente di Kitipaka, che ripeteva ossessivamente -- anzi, “ricacava” -- la stessa domanda (questi sono solo alcuni esempi fra i tanti), ho semplicemente risposto più volte così (in aggiunta a qualche risposta personale ironica ai più aggressivi):



Spiegazione: sono un giornalista libero professionista. Nel mio mestiere, come in tanti altri, qualunque rapporto con il committente è da considerare automaticamente confidenziale salvo che il committente dia il permesso di parlarne. Non è necessariamente il committente a imporre quest’obbligo: lo impone prima di tutto la deontologia professionale.

In parole piccole: non ho niente da nascondere; semplicemente, se non ho il permesso esplicito della Presidenza della Camera di parlare di un qualunque dettaglio del nostro rapporto, non ne parlo. Si chiama riservatezza professionale: la stessa che impone al vostro medico di non andare a raccontare a tutti i vostri problemi di salute e che vi permette di parlargli sinceramente e in confidenza. Tutto qui.

I Kitipaka non l’hanno capita e hanno insistito che volevano sapere tutto, compreso probabilmente il colore delle mie mutande*, appellandosi alla trasparenza degli atti pubblici. Al che ho risposto semplicemente e ripetutamente così:



*sono leopardate.

Questo ha infuriato ancora di più i Kitipaka, che si sono scatenati in due giorni di caccia ossessiva alle informazioni che descrivevano i miei rapporti con la Presidenza della Camera.

Questi sublimi segugi, però, non sono riusciti a trovare neppure questo mio vecchio articolo pubblico che offriva già tutti i dettagli e le risposte alle loro domande assillanti.

Alcuni si sono attaccati anche al suddetto decalogo, che invita a chiedere le prove e le fonti delle affermazioni:



Lasciando da parte quel garbatissimo “quanto vuoi” che pare una domanda rivolta a una puttana, ovviamente è vero che chiedere le fonti è un diritto. A volte, però, ci sono vincoli di riservatezza professionale che non consentono la risposta. Come nel mio caso. A un medico non si può chiedere di pubblicare la cartella clinica del paziente, se non c’è il consenso del paziente. Ma questo, a quanto pare, è un concetto molto difficile.

A questo punto i Kitipaka hanno addirittura scomodato lo spettro di un’interrogazione parlamentare per indurmi a rivelare i miei oscuri e milionari guadagni:



Il parlamentare in questione è Massimiliano Fedriga e il suo tweet è questo. Sarà interessante sapere quanto verrà a costare ai contribuenti questa (eventuale) interrogazione.

Galvanizzati dall’intervento di un politico, i Kitipaka hanno raddoppiato gli sforzi investigativi, arrivando finalmente, dopo due giorni di estenuante investigazione, a una scoperta clamorosa, che però ha avuto l’effetto di una doccia gelata:



Tutto questo can can, insomma, con tanto di interrogazione parlamentare annunciata, per arrivare alla “scoperta” di una prestazione da 350 euro (su questa scoperta vorrei fare un arguto commento, ma mi trattengo, almeno per ora).

I Kitipaka si sono messi da soli nella stessa tragicomica situazione del cane che abbaia rincorrendo le auto e non si è mai chiesto cosa farà il giorno che riuscirà a raggiungerne una.

Credit: @DZAladan.


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Chiudo (per ora) questo Delirio del Giorno con le risposte ad alcune delle altre domande ricorrenti di questi leoni da tastiera, che cito testualmente.

Domanda: lei lavora attualmente in modo indipendente o anche per l'attuale governo "in carica"? Non lavoro per il governo italiano. Sono stato chiamato come consulente dalla Presidenza della Camera.

Domanda: Quindi hanno deciso che la consulenza fosse assegnata a lei senza una procedura di selezione? Qualcuno le avrà detto perché proprio lei? Caro Paolo, ultima domanda (siamo contribuenti italiani) su quale base è stata scelta la sua figura? Criterio di selezione? Non so quale sia stato il processo di decisione. Mi hanno chiamato, ho fatto il lavoro. Tutto qui. Chiedetelo a chi mi ha selezionato.

Domanda: Un incarico di consulenza avrà sicuramente un atto pubblicato che lo certifica. O no? Non lo so e non è compito mio spiegare la burocrazia italiana. Vivo in Svizzera.

Domanda: Com'è che non risulta iscritto né all'ordine dei giornalisti né a quello dei pubblicisti? Millantato credito? Prova a pensare intensamente: sarà mica che non sono iscritto agli ordini italiani perché vivo e lavoro in Svizzera e non in Italia?

Domanda: Quasi la meta' dei tuoi followers sono fake, il dubbio sorge spontaneo. Ah, può darsi. Ma mica me li scelgo io. Informarsi prima di parlare non si usa più? C’è lo spiegone apposito.

Domanda: La sua residenza è in Svizzera? Se sì, x motivi fiscali? 1. Sì. In Svizzera ci vivo, ci lavoro, ci dormo e ci pago le tasse; le figlie ci vanno a scuola. 2. Beh, "motivi fiscali" nel senso che qui le tasse che pago (non poche) mi danno servizi efficaci ed efficienti, cosa che non accadeva quando vivevo in Italia; ma non ci vivo solo per motivi fiscali. Ci vivo perché è un posto sicuro, sereno, con gente cortese e civile e un'amministrazione efficiente. Non è il Paradiso, ma si sta bene.


L'inquisizione è finita? Posso andare?

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