Horror Express (1973) non è certo un capolavoro della cinematografia, ma aveva attori famosi come Christopher Lee, Peter Cushing e Telly Savalas e all’oratorio di Bereguardo (Pavia), dove andavo da ragazzino a vedere un film di terza visione il sabato sera con gli amici, quel giorno c’era in cartellone solo quello: prendere o lasciare.
La trama non era granché: quando un antropologo ha la brillantissima idea di portare con sé in treno sulla Transiberiana una cassa contenente i resti congelati di un umanoide primitivo scoperto in una grotta in Manciuria, è scontato che è soltanto questione di tempo prima che il ghiaccio si sciolga e la creatura si risvegli e faccia scempio dei passeggeri.
Ma di quel film mi rimase inciso nella memoria un dettaglio: negli occhi delle vittime del mostro rimaneva impressa un’immagine (non racconto quale per non fare spoiler). Non lo sapevo ancora, ma era il mio primo incontro con un optogramma.
Scoprii in seguito che l’idea che la retina conservi l’ultima immagine vista prima della morte e possa quindi rivelare l’identità dell’assassino, impressa negli occhi atterriti della sua vittima, era un cliché della cinematografia e della letteratura fantastica.
Infatti gli optogrammi sono stati incorporati nella trama di altri film e programmi televisivi, come The Invisible Ray (1936, con Boris Karloff e Bela Lugosi), 4 mosche di velluto grigio di Dario Argento (1971), Doctor Who (in The Ark in Space, 1975), Wild Wild West (1999), Fringe (nella puntata The Same Old Story, 2008) e di nuovo Doctor Who (in The Crimson Horror, 2013); i lettori mi segnalano anche Sing Sing (1983, con Adriano Celentano) e Imago Mortis (2008).
Si tratta comunque di storie sopra le righe, di cinema, televisione e letteratura fantastica, per cui l’optogramma sembra semplicemente una trovata bizzarra e un po’ macabra. A parte una citazione ne l’Ulisse di Joyce (1922) e in At the End of the Passage (1890) di Rudyard Kipling (con toni metafisici), l’unico a parlarne come un fatto scientifico in un racconto non fantastico ma semplicemente avventuroso è Giulio Verne, che nel romanzo I fratelli Kip (1902) lo fa diventare un dettaglio fondamentale che salva i protagonisti:
“È noto da qualche tempo, a seguito di vari esperimenti oftalmologici interessanti svolti da alcuni scienziati ingegnosi, osservatori autorevoli, che l’immagine degli oggetti esterni impressa sulla retina dell’occhio vi rimane conservata indefinitamente. L’organo della vista contiene una particolare sostanza, la porpora visiva, sulla quale si imprimono queste immagini nella loro forma esatta. Esse sono state persino ricostruite perfettamente quando l’occhio, dopo la morte, viene rimosso e messo a bagno nell’allume.”
In realtà la tecnica di acquisizione degli optogrammi, l’optografia, è stata considerata a lungo un fatto reale, scientificamente indiscusso, ed è stata usata addirittura nelle indagini di polizia.
Ispirato dal recente e rivoluzionario avvento della fotografia, nel 1877 il fisiologo tedesco Wilhelm Kühne aveva infatti perfezionato un procedimento chimico che fissava davvero le immagini proiettate sulla retina attraverso il cristallino e sfruttava proprio la “porpora visiva” di Verne, ossia la rodopsina, una proteina fotosensibile presente nei bastoncelli della retina. Uno dei suoi migliori optogrammi, estratto dagli occhi di un coniglio albino nel 1878, mostrava inequivocabilmente i dettagli della finestra in stile inglese che era stata l’ultima cosa vista dalla bestiola prima di essere sacrificata.
L’immagine veniva rivelata mettendo l’occhio a bagno in una soluzione di allume, proprio come diceva Verne, che probabilmente era al corrente degli esperimenti di Kühne: la scoperta era stata ampiamente pubblicizzata dalle riviste scientifiche e divulgative internazionali. Su queste basi molto concrete la polizia di Berlino aveva già introdotto sperimentalmente la prassi di fotografare gli occhi delle vittime di omicidi.
Nel 1880 Kühne dimostrò il procedimento addirittura sugli occhi di un condannato a morte, ottenendone però un’immagine indistinta, che rimase l’unico esemplare di optogramma ricavato da un essere umano, Erhard Gustaf Reif, ghigliottinato per aver ucciso i propri figli. Kühne ricavò dalla retina sinistra di Reif un’immagine che forse corrispondeva alla lama della ghigliottina, ma era talmente confusa che probabilmente si trattò di un’interpretazione arbitraria. Anche perché Reif era bendato.
L’incarto del caso Reif (1880). Immagine tratta dal Museo di Optografia. |
Kühne e il suo assistente, W. C. Ayres, proseguirono la sperimentazione e giunsero presto alla conclusione che l’optografia era un fenomeno reale ma non sfruttabile per le indagini sui delitti: l’immagine sarebbe stata troppo confusa, persino nelle condizioni più favorevoli, che richiedevano uno sguardo assolutamente fisso e un esame oculare tempestivo. L’optogramma del coniglio era stato ottenuto tenendo l’animale fermo al buio per vari minuti e poi esponendolo alla luce intensa della finestra per altri tre minuti, tenendolo sempre immobile: una situazione ben diversa da quella di un delitto.
Pubblicarono i propri risultati anche nel New York Medical Journal nel 1881, mettendo in guardia contro un abuso dell’optografia, ma invano: la passione popolare per l’idea che gli occhi della vittima fotografassero l’assassino, in una sorta di rivincita postuma, continuò a crescere, specialmente per i delitti più clamorosi, spingendo le forze dell’ordine di vari paesi a proseguire nell’uso di questa tecnica scientificamente screditata pur di soddisfare l’opinione pubblica.
Così alcune fonti riportano che nel 1888 la polizia londinese tentò di ricavare un optogramma dagli occhi di Mary Jane Kelly, una vittima di Jack lo Squartatore, anche se non ci sono tracce di questa procedura nei registri degli inquirenti. Nell’Illinois, gli inquirenti fecero lo stesso tentativo con Theresa Hollander, uccisa brutalmente a bastonate e trovata con gli occhi spalancati nel 1914: i giornali riportarono che da un suo occhio era stata ottenuta “una fotografia dell’assassino”.
Washington Times, 25 febbraio 1914. |
Immagine sulla sua retina potrebbe mostrare l’assassino della ragazza
Chicago, 25 febbraio. -- Una fotografia dell’assassino di Tracy Hollander, la ragazza di Aurora uccisa con un paletto tombale al cimitero di St. Nicholas la settimana scorsa, è stata tratta dall’occhio della ragazza uccisa, secondo una dichiarazione rilasciata oggi dal procuratore di stato W. J. Tyers.
L’immagine è stata scattata su suggerimento di un oculista locale, che ha detto alla polizia che la retina avrebbe mostrato l’ultimo oggetto nel suo campo visivo prima che perdesse conoscenza. La fotografia è custodita dagli accusatori di Anthony Petras. Verrà mostrata al gran giurì, che si riunisce sabato.
Dieci anni dopo, in Germania, un uomo, Fritz Angerstein, fu accusato di aver ucciso otto membri della propria famiglia e dei domestici; durante il processo, un professore dell’Università di Colonia dichiarò di aver ricavato dagli occhi di due delle vittime degli optogrammi che mostravano addirittura il volto dell’accusato e un’ascia usata per uccidere il giardiniere. Dettagli scientificamente impossibili, ma questo l’imputato non lo sapeva e così il bluff funzionò, spingendo Angerstein a confessare.
Dopo un inizio così vivace, l’optografia è caduta nel dimenticatoio della criminologia, riemergendone in poche occasioni: per esempio, nel 1975 l’Università di Heidelberg, su richiesta della polizia locale, ripeté gli esperimenti di Kühne con strumenti moderni, ottenendo dalle retine di conigli varie immagini nitide ad alto contrasto, migliori di quelle passate ma comunque totalmente inutilizzabili dal punto di vista forense. Da allora nessuna indagine criminale ha più preso in considerazione gli optogrammi.
Ma il mito prosegue, e in modo macabro: anche in tempi piuttosto recenti la cronaca riporta delitti nei quali gli assassini distruggono gli occhi del cadavere per timore di esserne stati immortalati (Regno Unito, 1927; Belgio, 1955; Russia, 1990, citati da Arthur B. Evans). Un caso raro di scienza diventata dapprima pseudoscienza e poi inquietante leggenda popolare.
Fonti
Kühne W, 1878, On the Photochemistry of the Retina and on Visual Purple (tradotto da Michael Foster), MacMillan, London.
Kühne W, 1881, Beobachtungen zur Anatomie und Physiologie der Retina, Heidelberg.
The last image: On the history of optography. Gerstmeyer, Ogbourne, Scholtz. Acta Ophthalmologica 2012 pag. 58; Milan 2012; Nok 2012.
Optograms and criminology: science, news reporting, and fanciful novels. Lanska DJ. Prog Brain Res. 2013;205:55-84. doi: 10.1016/B978-0-444-63273-9.00004-6.
Optometry and optograms. The College of Optometrists.
Dead Men’s Eyes: A History of Optography. The Chirurgeon’s Apprendice.
Optograms and Fiction: Photo in a Dead Man’s Eye, di Arthur B. Evans, in Science-Fiction Studies, XX:3 #61, (Nov. 1993): 341-61 (altra versione qui).
C'è anche una discussione interessante delle citazioni letterarie e cinematografiche degli optogrammi su The Straight Dope.
Infine segnalo che esiste un sito dedicato all’optografia: il Museum of Optography di Derek Ogbourne, che raccoglie una testimonianza video particolarmente interessante in questa pagina. Buona lettura, se non siete impressionabili.
Una sintesi di questo articolo è stata pubblicata su Le Scienze a dicembre 2016. Questa versione estesa fa parte delle Storie di Scienza: una serie libera e gratuita, resa possibile dalle donazioni dei lettori. Se volete saperne di più, leggete qui. Se volete fare una donazione, potete cliccare sul pulsante qui sotto. Grazie!
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