Il Giorno e il Corriere ci mandano un segnale di ottimismo: oggi
chiunque in Italia può scrivere su un giornale. Competenze linguistiche? Non
servono. Rilettura? Un’ossessione da boomer; roba
vecchia.
E così su IlGiorno Giambattista Anastasia e Sofia
Rodigari ci deliziano con il racconto della polemica per una fotografia di
Chiara Ferragni “in sleep” (si vede che deve risparmiare energia)
e il Corriere (cartaceo, si noti) ci educa dicendoci che “I nuovi
Mask o Zuckerberg” è “difficili trovarli in aula”. Perché
fare un solo errore da matita blu in un titolo oggi è banale.
Da Il Giorno del 30 maggio 2023 (copia permanente). Grazie a @paoblog per la segnalazione.
Da 'L'Economia del Corriere della Sera', 22 maggio 2023. Stampato, non online. Grazie a Simone (mio figlio) per la segnalazione.
Se il giornalismo va avanti con scelte come queste, ChatGPT lo sostituirà alla grande. Meritatamente. E la colpa sarà solo di chi si è scavato da solo la fossa.
Poche ore fa è rientrata sulla terra la capsula Crew Dragon della missione privata Axiom-2 con a bordo Peggy Whitson, John Shoffner, Ali Alqarni e Rayyanah Barnawi, che hanno trascorso una decina di giorni a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. Il numero di persone presenti nello spazio scende così a 13.
Stazione Spaziale Internazionale (7)
Francisco Rubio (NASA) (dal 2022/09/21)
Sergei Prokopyev (Roscosmos) (dal 2022/09/21, attuale comandante della Stazione)
Con il lancio del veicolo Shenzhou-16 dal centro di lancio di Jiuquan, che ha portato alla Stazione Nazionale Cinese tre astronauti (Jing Haipeng, Zhu Yangzhu e Gui Haichao), salgono a 17 le persone attualmente nello spazio. Gui, professore all'Università di aeronautica e astronautica di Pechino, è il primo civile cinese ad andare nello spazio; tutti gli astronauti precedenti erano militari.
La presenza di 17 persone stabilisce un nuovo primato storico per il maggior numero di persone contemporaneamente in orbita. Il record precedente era di 14, stabilito brevemente il 15 settembre 2021 e ripetuto il 5 ottobre 2022.
Stazione Spaziale Internazionale (11)
Peggy Whitson (Axiom, USA) (dal 2023/05/21)
John Shoffner (Axiom, USA) (dal 2023/05/21)
Ali Alqarni (Axiom, Arabia Saudita) (dal 2023/05/21)
Qualche mese fa mi è stata diagnosticata una cataratta nucleare a entrambi gli
occhi; a giugno installerò cristallini artificiali per risolverla. Da
appassionato di informatica, non so resistere all’idea di considerare la cosa
come un caso di body hacking interessante da raccontare. Ma confesso
che quest’idea mi serve anche per esorcizzare la fifa blu di farmi perforare
gli occhi come Jean-Luc Picard in Star Trek: Primo Contatto. Beh, non proprio allo stesso modo, però...
È quasi comico che nel ventunesimo secolo abbiamo una tecnologia superiore a quella dei Borg di Star Trek. E meno male.
Prima di tutto, vorrei sdrammatizzare la situazione. Sto bene, tutto sommato,
e mi rendo perfettamente conto che c’è tanta gente che sta infinitamente
peggio di me e non ha accesso al livello di cure mediche al quale ho il
privilegio di accedere io.
La mia condizione attuale è che la cataratta mi vela la vista di notte o al buio e crea aloni intorno alle luci, riducendo
la nitidezza e il contrasto, per cui andare al cinema è uno strazio (soprattutto per un appassionato di alta definizione come me), le luci laterali mi abbagliano (lavorare negli studi TV è una faticaccia) e per maggiore sicurezza ho deciso di smettere di guidare quando
c’è buio (gli aloni intorno ai fanali sono un fastidio fortissimo e rendono molto più faticosa la percezione delle distanze).
Di giorno, invece, vedo benissimo, anzi
paradossalmente meglio di qualche anno fa, tanto che ho smesso di portare gli
occhiali. Questa “seconda vista” è un fenomeno frequente in queste condizioni
ed è una delle crudeli ironie della natura: proprio quando devi trovare il
coraggio di farti mettere delle lame negli occhi ci vedi meglio. Ma razionalmente so
che è un miglioramento che passerà in fretta se non faccio un upgrade. Me ne sono reso conto, in particolare, qualche mese fa, quando ho indicato alla Dama del Maniero un bellissimo arcobaleno circolare intorno alla Luna piena e lei mi ha chiesto perplessa “Quale arcobaleno?”.
Detto questo, avviso subito che
questo articolo conterrà immagini e concetti che potranno creare ansia o
disgusto negli animi sensibili.
In fin dei conti, si tratta di un intervento chirurgico agli occhi. Se questo
pensiero vi crea agitazione, non leggete oltre. Ne riparleremo tra qualche
settimana.
Aggiungo infine che
questo articolo non costituisce informazione medica. È solo uno
spiegone da nerd. Se avete bisogno di informazioni mediche, consultate
un medico (non Google).
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Cominciamo dalle basi: la cataratta nucleare è un graduale offuscamento della
parte centrale (nucleo) del cristallino, che è la lente naturale che mette a
fuoco le immagini sulla retina (fonte:
Manuale MSD). Speravo che c’entrasse qualcosa l’energia atomica, ma no.
Nell’illustrazione qui sotto, che mostra schematicamente un occhio umano in
sezione, il cristallino è l’ovale al centro.
Per risolvere la cataratta, il cristallino va rimosso e sostituito con una
lente artificiale. Ma farlo senza danneggiare l’occhio non è banale: è
necessario praticare due piccoli tagli laterali nell’occhio, raggiungere il
cristallino attraverso quei tagli, all’interno della capsula che lo contiene,
farlo a pezzi e poi estrarre i pezzi con un aspiratore, inserendo infine appunto una lente sintetica. Questo intervento
viene fatto da svegli, sotto anestesia locale e lieve sedazione, e ovviamente
si vede tutto. Almeno fino al momento in cui viene distrutto il
cristallino. Brrr.
Fare a pezzi un cristallino significa usare un emettitore di ultrasuoni che lo
sbriciolano, cosa piuttosto traumatica per l’occhio ma comunque gestibile,
oppure usare un laser per tagliare il cristallino a dadini. Il vantaggio del
laser è che agisce dall’esterno, attraverso la parte trasparente frontale
dell’occhio, è meno traumatico per l’occhio rispetto agli ultrasuoni ed evita il rischio di tagli posteriori alla capsula prodotti dagli strumenti chirurgici. Questo laser emette
impulsi che durano femtosecondi (milionesimi di miliardesimi di
secondo) e sono posizionati e orientati usando un sistema in realtà aumentata
che pianifica tutti i puntamenti del raggio che trapassano progressivamente il
cristallino fino a sezionarlo. Ho scelto la soluzione laser.
Una volta aspirati i dadini di cristallino (attraverso uno dei piccoli tagli laterali praticati dal chirurgo), viene inserita la lente
sostitutiva, passando attraverso i piccoli tagli laterali già praticati per
inserire gli strumenti precedenti. La lente è flessibile e viene inserita
arrotolata, dispiegandosi all’interno dell’occhio, dentro la parte rimanente della capsula, e poi viene posizionata dal
chirurgo e agganciata con due bracci o uncini morbidi.
Esistono vari tipi di lente intraoculare, anche con focali multiple che permettono di vedere a fuoco sia da vicino sia da lontano, ma le loro prestazioni sono un compromesso, per cui ho scelto una lente monofocale che mi dovrebbe dare una messa a fuoco perfetta, anche di notte, da circa un metro di distanza fino all’infinito. Per le distanze inferiori userò gli occhiali, come prima.
La lente artificiale ha una messa a fuoco fissa, a differenza del cristallino, la cui forma viene modificata dai muscoli intraoculari per mettere a fuoco a distanze differenti. Con la lente sostitutiva si perde la possibilità di mettere a fuoco, ma non è un grosso problema, dato che la forma della lente mette a fuoco tutto sempre (entro la gamma di distanze scelta).
Il video seguente, già posizionato al punto giusto, mostra in dettaglio la procedura di eliminazione della cataratta. Su YouTube trovate anche le riprese delle operazioni, che sono un po’ più splatter di queste animazioni pulitine e rassicuranti.
Quest’altro video mostra una procedura leggermente differente ma chiarisce bene le varie fasi:
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L’operazione in sé è piuttosto breve; si torna subito a casa e nel giro di qualche ora si può usare l’occhio operato senza problemi. Le uniche precauzioni sono di non guidare subito (per via della sedazione e del riadattamento del cervello alla nuova visione), indossare occhiali scuri per qualche ora, mettere regolarmente gocce disinfettanti, e non fare sforzi o assumere posizioni che possano aumentare la pressione intraoculare, perché questo potrebbe far riaprire i tagli laterali (che normalmente si rimarginano da soli). Vi risparmio l’elenco delle posizioni e soprattutto degli, uhm, sforzi, che è particolarmente pittoresco. Ovviamente vanno evitate per qualche giorno anche le nuotate e gli ambienti polverosi.
I medici che mi stanno seguendo sanno che lavoro faccio e quindi hanno prevenuto subito la “sindrome del dottor Google” dandomi loro le parole chiave da cercare online per conoscere meglio la procedura medica: femto cataract lensar (da usare anche su YouTube). Lensar è il nome della ditta che produce questi apparecchi medicali laser. Mi hanno ovviamente spiegato personalmente in dettaglio tutta la procedura e tutti i pro e contro delle varie opzioni.
Da fuori non si nota nulla a occhio nudo (salvo forse in certe condizioni di luce, nelle quali si vede un riflesso come quello degli occhi dei gatti, dice Francesco via Twitter). Purtroppo l’intervento non sembra conferire superpoteri o un miglioramento dello spettro visibile. I Rettiliani mi dicono che i miei impianti bioplasmatici non verranno influenzati.
Ho già fatto tutti gli esami medici preliminari e non ci sono complicazioni. Il 13 giugno farò il primo intervento; se tutto va bene, il 20 giugno farò il secondo. Nel frattempo, farfalle nello stomaco a parte, tutto va avanti come prima.
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Venerdì 9 giugno. Ho fatto un ultimo controllo agli occhi e ho scelto da quale occhio iniziare: quello sinistro (nessun motivo particolare, è stata una scelta mia del tutto casuale). Iniziano i preliminari: una goccia di soluzione oftalmologica antinfiammatoria (Nevanac) al giorno. Nessun fastidio.
Sabato 10 giugno. Una goccia, come sopra.
Domenica 11 giugno. Altra goccia, come sopra. Mi sforzo di memorizzare come ci vedo adesso con l’occhio sinistro, per poter poi fare il confronto.
Lunedì 12 giugno. Ultima goccia di antinfiammatorio, ultima cena pre-intervento (ci si deve presentare a digiuno). L’intervento è domattina.
Martedì 13 giugno, 6:00. Sveglia alle sei, senza colazione, poi doccia e preparativi: mi è stato chiesto di portare un pigiama o una tuta in cui cambiarmi per l’intervento. Un’amica porterà la Dama e me al luogo dell’intervento, a Lugano (dopo l’intervento non si può guidare, perché un occhio è coperto e la sedazione leggera potrebbe causare problemi, come dicevo), alle 8 del mattino. Chicca: oggi è il nostro anniversario di matrimonio. È un modo bizzarro di festeggiarlo, ma non c’erano altre date libere e quindi abbiamo deciso di chiudere un occhio.
Martedì 13 giugno, 12:25. Rieccomi al Maniero, dopo una dormita per recuperare lo stress dell’intervento, che è stato un pochino più impegnativo del normale ma sembra essere andato bene. Cose che capitano a noi Rettiliani. Racconto tutti i dettagli nella seconda parte di questa storia.
Mi sono arrivate parecchie richieste di chiarimento a proposito del comunicato stampa del Comune di Ravenna del 25 maggio 2023 che dispone una sorta di quarantena per i veicoli elettrici e ibridi che sono stati colpiti dagli allagamenti dei giorni scorsi.
Dice il comunicato:
Misure da adottare da parte dei possessori di veicoli elettrici e ibridi
A scopo precauzionale, i concessionari e i soggetti privati che a qualsiasi titolo possiedono veicoli elettrici e ibridi che hanno subito immersione in seguito agli eventi meteorologici dei giorni scorsi, o che si trovano in ambienti particolarmente umidi, devono adottare alcune misure preventive a tutela della pubblica incolumità.
In particolare tali veicoli devono essere posti per 15 giorni in quarantena, devono cioè essere tenuti in spazi esterni, con una distanza tra un veicolo e l’altro, da edifici e da altri veicoli di almeno cinque metri.
Tali misure sono state disposte su richiesta dei Vigili del fuoco.
Il tono è piuttosto allarmante e perentorio, ma le misure richieste sono sensate e probabilmente dettate da un problema ricorrente nelle pubbliche amministrazioni: magari un avviso non è strettamente necessario, ma se non lo fai e poi succede qualcosa, la gente ti salta in testa e possono esserci conseguenze legali; se invece lo fai e poi non succede nulla, la cosa finisce rapidamente nel dimenticatoio. È quella che in molti ambienti si chiama una comunicazione CYA, dalle iniziali di “cover your ass”, che si può tradurre con “parati il culo”.
I dettagli delle considerazioni tecniche che hanno portato alla richiesta da parte dei Vigili del Fuoco vanno ovviamente chiesti a loro (e finora mi sembra che non abbiano dato risposta a chi li ha interpellati). Io posso solo aggiungere alcune ipotesi basate sui fatti tecnici.
La batteria di trazione di un’auto elettrica o ibrida è elettricamente isolata e sigillata, per cui normalmente sopporta l’immersione in acqua senza alcuna conseguenza. YouTube è piena di video di persone che guadano sottopassaggi allagati con le proprie auto elettriche, con l’acqua fino alla base dei finestrini, senza particolari problemi (mentre le auto a carburante schiattano). Questo è un comportamento pericolosissimo, ma non per motivi elettrici: l’acqua apparentemente tranquilla può trascinare l’auto e portarla fuori controllo. Non si deve mai tentare il guado di una strada allagata, con nessun tipo di auto, né a carburante né elettrica.
Il potenziale pericolo, quindi, non è la folgorazione se si sale su un’auto elettrica che è stata immersa. Il problema è che se l’auto è stata trascinata dall’allagamento e la sua batteria di trazione è stata urtata e danneggiata da qualche impatto, la sua tenuta stagna potrebbe essere compromessa e questo potrebbe portare a incendi della batteria. Questi incendi possono essere molti impegnativi da spegnere, perché le attuali batterie contengono tutte le sostanze chimiche necessarie per alimentare una combustione e non hanno bisogno di ossigeno dall’atmosfera. Questo, probabilmente, spiega la richiesta di quarantena all’esterno e a distanza da altri veicoli. Quindi la scelta del Comune di Ravenna è sensata, specialmente in ottica CYA.
Aggiungo una considerazione che magari non è intuitiva per molti: il comunicato parla di veicoli, non solo di auto, e quindi include anche bici e monopattini elettrici. Questi veicoli hanno batterie molto meno sigillate e protette di quelle delle auto, e quindi possono danneggiarsi e incendiarsi più facilmente. È quindi prudente tenere all’esterno delle abitazioni qualunque veicolo elettrico di questo genere, e questo vale anche in condizioni normali.
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Dai commenti mi arriva la segnalazione che il 25 maggio scorso a Ravenna è andata a fuoco una Nissan Leaf (elettrica) che “era rimasta sommersa dall’acqua durante l’alluvione che ha colpito l’area di Fornace Zarattini ed è possibile che l’incendio sia legato a questo fattore” (Ravenna Notizie). Può darsi che questo episodio abbia spinto i Vigili del Fuoco a fare la richiesta di quarantena.
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Vaielettrico ha pubblicato un approfondimento più tecnico sulla questione della protezione delle batterie di trazione contro le infiltrazioni d’acqua, citando le informazioni dettagliate dei Vigili del Fuoco e sottolineando correttamente la differenza fra un’immersione temporanea (come quando si guada una strada allagata o un nubifragio allaga per qualche ora il posto dove è parcheggiata l’auto) e prolungata (giorni interi immersa in decine di centimetri d’acqua).
Poche ore fa SpaceX ha pubblicato questo montaggio di riprese del volo di prova di Starship e Super Heavy. Non contiene rivelazioni particolari, ma ci sono delle angolazioni nuove che mostrano qualche dettaglio in più e comunque sono spettacolari. Il prossimo lancio di prova è già vicino.
Il 26 maggio 2020 ho fatto rifornimento di benzina per l’ultima volta. Sono ormai tre anni che uso solo l’elettricità per viaggiare in auto, e farlo è diventato assolutamente normale: avrete notato che le Avventurette in auto elettrica che pubblicavo periodicamente si sono diradate parecchio, perché ormai non c’è nulla di significativo da raccontare, anche per i viaggi lunghi. Si parte con l’auto carica, se l’autonomia non basta ci si ferma a caricare intanto che si fa uno spuntino o un pranzo, si arriva a casa, si rimette l’auto sotto carica. Tutto qui.
ELSA (l’elettrica piccola) ha ormai dodici anni, TESS va per i sette (e continua a ricevere aggiornamenti software). In totale hanno percorso 167.000 km, di cui 104.000 circa con i proprietari precedenti, e per ora le loro batterie reggono egregiamente. Tagliandi e cambi olio sono un ricordo sbiadito, e la spesa per i viaggi è crollata: a casa, un “pieno” sufficiente per 360 km mi costa circa 11 euro. In tutto, su circa 63.000 km ho risparmiato oltre 4500 euro (calcolando la differenza fra costo del carburante per percorrere quei km e costo dei kilowattora equivalenti).
Intanto le cose di contorno sono cambiate parecchio: per la prima volta l’auto più venduta al mondo nel primo trimestre del 2023 è elettrica (Tesla Model Y, che spodesta la Toyota Corolla a carburante), le colonnine rapide finalmente sono un po’ dappertutto (anche sulle autostrade italiane, e ho un Supercharger al centro commerciale vicino al Maniero); e in Svizzera, dove vivo, un’auto nuova su cinque è puramente elettrica. Direi che stiamo andando bene.
“Il futuro è già qui, ma non è uniformemente distribuito” -- William Gibson
È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della
Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto: lo trovate presso
www.rsi.ch/ildisinformatico
(link diretto) e qui sotto.
Buon ascolto, e se vi interessano il testo di accompagnamento e i link alle fonti di questa puntata, sono qui sotto.
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[CLIP: Rumore di rotativa]
È il 31 ottobre 1938. Negli Stati Uniti, il New York Times denuncia in
prima pagina un caso clamoroso di quella che oggi chiameremmo fake news, perpetrato attraverso un nuovo mezzo di telecomunicazione la cui
immediatezza consente la diffusione rapidissima della disinformazione.
“Radioascoltatori nel panico, scambiando un dramma bellico per la realtà”, titola il New York Times.
Il giorno precedente, un ventitreenne ha creato quella che il
Times definisce una “ondata di isteria di massa” che ha
coinvolto migliaia di persone, le cui telefonate hanno
“sovraccaricato la polizia”. Il caos mediatico fa il giro del mondo e
viene addirittura
citato
con disprezzo come
“prova dello stato di decadenza e corruzione nel quale versa la
democrazia”
da un certo Adolf Hitler*.
* Discorso a Monaco, 8 novembre 1938.
Il mezzo di telecomunicazione in questione non è Internet, ovviamente, perché
siamo appunto nel 1938: è la radio, che sta muovendo i suoi primi passi
nella diffusione di notizie. E il ventitreenne al centro della denuncia è un
attore, autore e regista emergente della rete radiofonica statunitense CBS. Si
chiama Orson Welles.
[CLIP: Annuncio del programma di Welles: “The War of the Worlds, by H.G.
Wells, starring Orson Welles and the Mercury Theater On the Air.”]
Questa è la storia della celeberrima diretta radiofonica de
La Guerra dei Mondi, che Welles realizzò ottantacinque anni fa come se
fosse una radiocronaca dell'invasione del nostro pianeta da parte di spietati
marziani, armati di tecnologie distruttive letali. Quella diretta viene
comunemente
citata
ancora oggi come esempio classico del potere dei mezzi di comunicazione. Ma le
cose non stanno esattamente così.
La notizia del “panico” è in prima pagina al centro sul New York Times.
Pagina del San Francisco Chronicle del 31 ottobre 1938 (fonte:
Loc.gov).
Benvenuti alla puntata del 26 maggio 2023 del Disinformatico, il
podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie
strane dell’informatica. Io sono Paolo Attivissimo.
[SIGLA di apertura]
Sono le otto di sera della vigilia di Halloween del 1938. Negli Stati Uniti,
la rete radiofonica Columbia Broadcasting Systems, o CBS come la
chiamiamo noi nel ventunesimo secolo, trasmette un adattamento del libro di
Herbert George Wells La Guerra dei Mondi. Questi adattamenti
radiofonici sono ormai un appuntamento fisso della CBS.
[CLIP: Audio dal radiodramma “La Guerra dei Mondi” di Orson Welles.
Annunciatore: “The Columbia Broadcasting System and its affiliated stations present Orson
Welles and the Mercury Theater On the Air in ‘The War of the Worlds’ by H.G.
Wells”]
Ma questo radiodramma è diverso dagli altri: ha quello che oggi chiameremmo
un format molto particolare, scritto, diretto e interpretato dal
giovane Orson Welles (che non è imparentato con H.G. Wells, l’autore del
libro). Dopo la presentazione da parte dell’annunciatore, il radiodramma
inizia come se fosse un programma musicale e poi sembra interrompersi per un
notiziario urgente.
[CLIP in sottofondo: Annunciatore: “Ladies and gentlemen, we interrupt
our program of dance music to bring you a special bulletin from the
Intercontinental Radio News. At 20 minutes before eight Central Time,
Professor Farrow of the Mount Jennings Observatory, Chicago, Illinois, reports
observing several explosions of incandescent gas occurring at regular
intervals on the planet Mars.”]
La voce dell’annunciatore parla dell’osservazione, da parte del professor
Farrow dell’osservatorio di Mount Jennings, a Chicago, di numerose esplosioni
di gas incandescente che si stanno verificando a intervalli regolari sul
pianeta Marte. In un mondo che si trova sull’orlo della Seconda Guerra
Mondiale, una notizia del genere non ha alcun motivo di essere trasmessa con
così tanta urgenza, ma lasciamo stare.
Il programma torna alla musica, che viene però interrotta dalla notizia della
caduta di un meteorite nel New Jersey e poi dall’annuncio di una lieve scossa
di terremoto a Princeton. A questo punto la musica si ferma del tutto e si
sente la voce di un radiocronista molto agitato:
[CLIP in sottofondo: Radiocronista: “There’s a jet of flames springing
from that mirror and it leaps right at the advancing men. It strikes them head
on. Lord! They’re turning into flames! It’s in the field over by the woods.
The gas tanks of the automobiles… it’s spreading everywhere! They’re coming
this way! Almost here now. About 20 yards to my righ...”]
L’uomo sembra parlare dal luogo della caduta del meteorite e racconta di un
getto di fiamme che proviene da un macchinario situato dentro il cratere e
incenerisce gli uomini che si stanno avvicinando. Fa in tempo a descrivere che
l’incendio si sta propagando ai serbatoi di carburante dei veicoli nelle
vicinanze e poi viene bruscamente interrotto.
È a questo punto che, secondo un mito diffusissimo, milioni di ascoltatori si
riversano nelle strade degli Stati Uniti in preda al panico, intasando i
centralini telefonici, convinti che sia in corso una vera invasione di
marziani perché hanno scambiato il format del radiodramma per un
notiziario reale, che prosegue per un’ora, con effetti sonori realistici e
annunci sempre più drammatici che descrivono le fasi dell’attacco da Marte a
tutto il pianeta.
Questa diretta de La Guerra dei Mondi e l’isteria di massa che avrebbe
provocato diventeranno famosissime e verranno
raccontate
dalla serie antologica televisiva statunitense
Studio One
nel 1957* e
di nuovo nel 1975 dal film drammatico
La notte in cui l’America ebbe paura,** che contribuirà moltissimo a rinforzare il mito di un panico di massa
scatenato per colpa di Orson Welles.
* Con i giovanissimi Warren Beatty, ventenne, e Ed Asner, ventottenne.
Il telefilm del 1957 The Night America Trembled su
YouTube.
Vignetta del Radio Digest di febbraio 1939 che cita la trasmissione di
Welles. Il personaggio maschile dapprima ride dei tedeschi ingenui che credono alla propaganda nazista, ma poi è lui a credere che l’attacco da Marte sia reale (fonte:
Wikipedia).
Ma oggi, anche grazie a Internet, sappiamo che non andò così. Eppure un
conflitto fra due mondi, in un certo senso, ci fu lo stesso.
Mondi in collisione
Nei decenni ormai trascorsi da quella fatidica vigilia di Halloween del 1938,
le ricerche degli storici hanno fatto emergere una storia molto diversa da
quella “ondata di isteria di massa”descritta
dal New York Times e dal
“terrore in tutti gli Stati Uniti” annunciato l’indomani dal
Daily News
con tanto di foto e dichiarazioni di “vittime” traumatizzate dalla
trasmissione.
Oggi possiamo contare per esempio su un’indagine del 2013, pubblicata in
sintesi su
Slate.com
da due esperti di media e comunicazione presso il Muhlenberg College e la
University of Maine;* possiamo basarci sui
dati
raccolti da W. Joseph Campbell, professore di comunicazioni alla American
University e presentati in un
podcast
del 2022 pubblicato dal museo dell’aviazione e dello spazio Smithsonian; e
possiamo contare su un libro dedicato alla vicenda,
Broadcast Hysteria, scritto da Brad Schwartz.** Numerosi esperti, insomma, hanno raccolto i dati e i documenti dell’epoca,
scoprendo che gettano una luce molto diversa sull’accaduto.
Per esempio, i rilevamenti d'ascolto fatti a scopo pubblicitario all'epoca
durante la trasmissione indicarono che il 98% degli ascoltatori era
sintonizzato su altri canali all'ora della messa in onda de
La Guerra dei Mondi, e che nessuno del 2% degli intervistati che
stavano ascoltando il programma disse di averlo scambiato per un notiziario.
Insomma, non solo gli ascoltatori erano stati pochi, ma quei pochi avevano
capito che si trattava di una finzione.
Poi c’è il fatto che gli avvenimenti descritti dal radiodramma avvengono tutti
un po’ troppo in fretta. Nel giro di una quarantina di minuti si passa dalle
prime timide avvisaglie di qualcosa di misterioso alla conquista marziana
degli interi Stati Uniti: un po’ poco plausibile. E sarebbe bastato provare a
cambiare canale per notare che le altre emittenti non stavano affatto
diffondendo bollettini catastrofici.*
* La storia si ripete: dopo la chiusura di questo podcast, un falso account “verificato” su Twitter, di nome BloombergFeed, ha pubblicato la notizia falsa di un’esplosione al Pentagono, accompagnata da una fotografia altrettanto falsa, e questo tweet è stato ripreso su Twitter dalla testata RT (affiliata alla Russia), creando un panico momentaneo in Borsa; per evitarlo sarebbe bastato notare che nessun’altra testata giornalistica stava dando la notizia.
Infatti la documentazione dell’epoca
segnala che alcune persone telefonarono alle stazioni radio, alla polizia e ai
vigili del fuoco per assicurarsi di aver capito bene che stavano ascoltando un
radiodramma presentato in un format da radiogiornale un po’ spiazzante.
Oltretutto il programma di Orson Welles inizia con un lungo prologo, letto da
Welles stesso, che ambienta la vicenda nel 1939, cioè nel futuro per gli
ascoltatori, ed è interrotto all’incirca a metà da un annunciatore che ricorda
molto chiaramente agli ascoltatori che si tratta di un radiodramma.
[CLIP: Annunciatore: “You are listening to a CBS presentation of
Orson Welles and the Mercury Theatre on the Air in an original dramatization
of The War of the Worlds by H. G. Wells. The performance will continue
after a brief intermission.”(a circa 40 minuti dall’inizio in
questa registrazione)]
E di nuovo, alla fine del programma, Orson Welles in persona annuncia che la
sua Guerra dei Mondi non è stata altro che
“la versione radiofonica di indossare un lenzuolo, sbucare da un cespuglio
e gridare ‘bu!’”. In fin dei conti è la vigilia di Halloween.
[CLIP in sottofondo: Orson Welles: “This is Orson Welles, ladies and
gentlemen, out of character to assure you that The War of The Worlds has no
further significance than as the holiday offering it was intended to be. The
Mercury Theatre's own radio version of dressing up in a sheet and jumping out
of a bush and saying Boo!”]
Non solo: i rapporti della polizia e degli ospedali di quella notte non
segnalano nulla di insolito. Nessuna folla per strada.* Orson Welles e la CBS non verranno mai rimproverati o sanzionati
formalmente dalle autorità,** e i giornali smetteranno di parlare della vicenda nel giro di pochi giorni.
* Ben Gross, del New York Daily News, scriverà nella sua autobiografia che le strade erano deserte mentre si
dirigeva agli studi della CBS in tempo per il finale del radiodramma.
** Ci sarà solo un
accordo
informale con la Federal Communications Commission di non usare più finti
notiziari flash.
Lettera di protesta alla FCC del sindaco della località citata nel radiodramma come epicentro della vicenda: Trenton, in New Jersey. La lettera, datata 31 ottobre 1938, parla di centralini telefonici di polizia bloccati per circa tre ore, con 2000 chiamate in due ore (fonte:
Wikipedia).
Due anni più tardi uscirà uno
studio accademico
a firma di Hadley Cantril, dell’Università di Princeton, che cercherà di
dimostrare la realtà del panico di massa, ma verrà smentito dalle ricerche
successive.
Insomma, l’unica guerra dei mondi reale, in questa storia, è quella fra il
mondo della stampa e quello della radio negli Stati Uniti della fine degli
anni Trenta del secolo scorso. La radio aveva tolto ai giornali molti introiti
pubblicitari, perché offriva una rapidità e un’immediatezza impossibile per le
rotative, per cui la stampa colse l'occasione della trasmissione di Orson
Welles per screditare il mezzo di comunicazione rivale, presentandolo come
fonte inattendibile per le notizie.
Il New York Times pubblicò persino un editoriale, intitolato
“Terror by Radio”, che biasimava i funzionari della CBS per aver
permesso di intercalare “finzioni agghiaccianti” con
“annunci di notizie, presentate esattamente nello stesso modo usato per le
notizie reali”, e altre testate fecero eco. La radio, si diceva, era troppo giovane e
immatura per un compito così importante come veicolare notizie. Una polemica
che ricorda da vicino quella di oggi fra media tradizionali e Internet.
Da parte sua, Orson Welles non farà nulla per tentare di ridimensionare le
notizie presentate dai giornali: la copertura mediatica lo sta facendo
diventare famosissimo in tutto il mondo nonostante gli ascolti del suo
radiodramma siano stati bassissimi, e la CBS sarà ben contenta di cavalcare
l’ondata di articoli di giornale che dimostrano il potere della radio, cosa
molto utile per incoraggiare gli inserzionisti pubblicitari a investire in
spot radiofonici.
Orson Welles in conferenza stampa il giorno dopo la diretta de
La Guerra dei Mondi, da
YouTube. Notate che Welles non perde l’occasione di fare promozione alle proprie attività teatrali.
Era insomma nell’interesse di tutti che quella notizia falsa fosse creduta
reale, e così divenne reale.
Lezione moderna
Una ventina d’anni dopo, Welles, ormai diventato famosissimo anche come
regista cinematografico, racconterà la vicenda de La Guerra dei Mondi in un’intervista alla BBC con parole che sembrano scritte ieri:
“Eravamo stufi del modo in cui tutto quello che passava da questa nuova
scatola magica, la radio, veniva dato per buono. La gente è diffidente verso
quello che legge sui giornali e quello che sente in giro, ma all’arrivo
della radio, e oggi immagino della televisione, tutto quello che passava da
quella nuova macchina veniva creduto. Per cui in un certo senso la nostra
diretta fu un attacco alla credibilità di quella macchina. Volevamo che la
gente capisse che non doveva accettare nessuna opinione predigerita e che
non doveva dare per buono tutto quello che arrivava da quel canale”,
disse Welles.
[In originale: “We were fed up with the way in which everything that came over this new
magic box, the radio, was being swallowed. People, you know, do suspect what
they read in the newspapers and what people tell them, but when the radio
came, and I suppose now television, anything that came through that new
machine was believed. So in a way our broadcast was an assault on the
credibility of that machine; we wanted to people to understand that they
shouldn't take any opinion pre-digested, and they shouldn't swallow everything
that came through the tap, whether it was radio or not, but as I say, it was
only a partial experiment, we had no idea the extent of the thing, and I
certainly personally had no idea what it would mean to me.”]
Sostituite
radio
con Internet, e avete esattamente la situazione di oggi. I media
tradizionali sono preoccupati per l’emorragia di denaro degli inserzionisti
verso i social network e Google, che offrono alle aziende servizi di
profilazione della clientela e di pubblicità mirata e personalizzata che sono
impossibili per un’emittente radio o TV o per un giornale, e quindi questi
media tradizionali spesso hanno una certa convenienza a presentare Internet
come un luogo inattendibile, infestato da truffatori, maniaci e
disinformatori. Non che queste cose manchino, ovviamente; ma non sono certo le
uniche cose che si possono trovare online.
Giusto per fare un esempio pertinente, questo mito su Orson Welles diffuso a
suo tempo dalla stampa oggi è smontabile e smentibile grazie al fatto che su
Internet è possibile attingere agli archivi storici,
riascoltare il programma originale, leggerne il
copione per capire
come era strutturato realmente, consultare le ricerche accademiche sul tema e
anche sfogliare i
giornali
di allora. Senza Internet, questo livello di ricerca sarebbe impossibile non
solo per il cittadino comune, ma anche per molti giornalisti.
La registrazione integrale della diretta del 1938.
La storia di quella diretta di ottantacinque anni fa, insomma, può essere
vista sia come un esempio di come i media possono seminare e alimentare
il panico, sia come una dimostrazione del modo in cui i media possono
riscrivere la storia e inventarsi un panico che non ci fu. E in ogni caso, è
una storia senza tempo, troppo ghiotta per essere dimenticata.
Helsinki, dove nei cantieri nascondono robot fatti con i materiali di lavoro.
Trasparenza: WithSecure ha
offerto il volo e l’alloggio che hanno reso possibile la mia partecipazione.
Le foto sono mie salvo diversa indicazione. Ultimo aggiornamento: 2023/06/28
21:30.
Sono a Helsinki con la Dama del Maniero per un paio di giorni per partecipare
alla conferenza di sicurezza informatica SPHERE23.
Questo è il programma
degli ospiti che parleranno all’evento. Aggiornerò man mano questo articolo
per includere una sintesi delle informazioni fornite dai vari relatori.
24 maggio
Si comincia con un pre-evento riservato alla stampa, con il CEO di WithSecure
Juhani Hintikka. Cita un dato a margine molto interessante: la fiducia nel
governo in Finlandia è al 64%, contro un 40% di media europea (osservazione
mia: chissà se c’entra il fatto che la Finlandia ha uno dei programmi più
aggressivi di lotta alle fake news sin dai primi anni di scuola).
Propone un approccio che chiama “Outcome security”: sicurezza orientata
ai risultati della specifica azienda, ottenuta combinando in modo flessibile
prodotti e servizi di sicurezza e progettando i processi produttivi in modo da
integrare da subito le considerazioni di sicurezza, non come cosa da
appiccicare a cose fatte. Idea intuitiva, ma gli altri conferenzieri
porteranno dati poco confortanti sulla diffusione di quest’idea nelle aziende,
che per ora è molto scarsa.
Parla Suni Silvanto, Director of Product Marketing dell’azienda. Bella
l’idea di offrire la sorveglianza dei siti e dei sistemi di un’azienda per il
turno di notte, come servizio. Temo che troppe aziende, specialmente piccole,
siano ancora ferme all’idea di
“ho comprato l’antivirus, sono a posto con la sicurezza”.
Poi tocca a Leszek Tasiemski, Head of Products, che parla di
sostenibilità dei servizi di sicurezza: sorprendentemente manca uno standard,
una sorta di etichetta energetica, per il software di sicurezza, ma finalmente
si comincia a studiarne il consumo energetico. Nella sua presentazione mostra
come cambiare alcuni settaggi del software di sicurezza può avere un impatto
notevole sulle bollette energetiche. Però bisogna trovare la maniera di
evitare che la ricerca di risparmi non riduca la sicurezza effettiva. È un
campo completamente nuovo, nel quale c’è da costruire tutto da zero, a partire
dalle interfacce utente. Se vi interessa saperne di più,
iscrivetevi.
Andrew Patel (che ho poi scoperto essere
r0zetta, che seguo su Twitter da tempo) parla di prompt engineering ostile,
con una relazione rapida e ricchissima di contenuti tecnici: generazione di
mail di phishing e spear phishing, harassment di persone
e aziende tramite testi generati da intelligenza artificiale e postati sui
social network, social validation (sfruttamento della fiducia degli
utenti nei post molto popolari), style transfer (per superare barriere
linguistiche o per imitare lo stile di una persona, con creazione di documenti
falsi trojanizzati molto credibili),
opinion transfer (generazione di post che rappresentano uno specifico
punto di vista o una particolare opinione politica, per saturare Internet di
contenuti a favore), fabbricazione massiva di fake news con generazione
di articoli estremamente documentati e credibili. Un fiume di idee che andrà
assolutamente approfondito.
Questa foto è tratta dal suo intervento del giorno successivo, nel quale ha
ripreso gli stessi concetti.
Stephen Robinson, Senior Threat Intelligence Analyst, parla di
professionalizzazione del crimine informatico. I profitti delle organizzazioni
criminali sono enormi e quindi queste organizzazioni si stanno strutturando
come aziende, con tanto di outsourcing. Alla base di tutto c’è il
ransomware, con una stima di almeno 2 miliardi di dollari pagati in
riscatti dal 2020, che incentiva a cercare nuove efficienze (perché un piccolo
miglioramento produce ricavi maggiori significativi), e si parla sempre più di
multipoint extortion (non solo crittazione classica, ma anche minaccia
di pubblicazione e di semplice cancellazione dei dati del bersaglio dai suoi
server o dal suo cloud). Il suo rapporto è stato pubblicato
qui.
Ci sono i criminali as-a-service, che offrono il servizio di attacco
chiavi in mano, con figure specialistiche come gli
Initial Access Broker, ossia gente che si limita a penetrare i sistemi
del bersaglio e poi offre questo accesso al miglior offerente: prima attacca,
poi trova qualcuno interessato al bersaglio. Ci sono anche i produttori di
malware as a service. I governi spesso comprano questi servizi per le
proprie campagne ostili: riducono i costi, trovano le competenze e riducono la
possibilità di attribuzione. Soluzioni difensive? Trovare il modo di aumentare
i costi e i rischi per i criminali.
Arriva poi Mikko Hyppönen, CRO di WithSecure e autore del libro
If It’s Smart, It’s Vulnerable. Parla del suo boicottaggio della conferenza RSA per nove anni perché la NSA
aveva corrotto RSA convincendola a installare una backdoor governativa
nei propri firewall. Adesso ci torna, su invito, perché RSA nel frattempo è
stata comprata più volte e ora è di proprietà, stranamente, di un gruppo di
insegnanti dell’Ontario. Cita il crollo delle rapine in banca (in Finlandia,
da una ogni due o tre giorni a zero negli ultimi tredici anni) perché oggi le
banche non hanno più contanti e conviene di più attaccare con un
trojan che con una pistola. Dice che la nostra generazione verrà
ricordata dagli storici per tre cose: per essere stata la prima ad andare
online, per essere stata la prima a dover contendere con l’intelligenza
artificiale e per aver ucciso la privacy.
Hyppönen parla poi del branding delle bande criminali e dei
cybercrime unicorns: organizzazioni illegali che hanno risorse
economiche superiori al miliardo di dollari e sono strutturate come aziende,
con esigenze di gestione della reputazione e di servizio professionale, perché
se non sono credibili e affidabili (nel commettere i propri reati e nel
ripristinare i dati crittati se la vittima paga) non avranno successo. Allo
stesso tempo, le autorità reagiscono con tecniche innovative come lo
smembramento di queste organizzazioni ottenuto offrendo taglie; questo porta a
delazioni interne e guerre intestine fra bande, anche in Russia. Ma la
collaborazione internazionale contro questi criminali è praticamente finita
con l’invasione dell’Ucraina; risulta che i criminali informatici russi siano
stati tutti rilasciati senza condanne. Hyppönen cita una vera e propria
spy-story ricca di tecniche innovative: quella dell’attacco dell’FBI
alla banda criminale Hive (l’FBI infiltrò Hive, diventando affiliata e dando
le chiavi di decrittazione alle vittime).
Mikko parla di deepfake in tempo reale e presenta la sua teoria sul
motivo per cui Meta ha investito oltre 13 miliardi di dollari nel metaverso:
per acquisire dati dettagliatissimi sulle reazioni delle persone, per esempio
con l’analisi delle reazioni dell’iride alla visione di oggetti e persone, che
permette di conoscere le emozioni delle persone e vendere questi dati a scopo
pubblicitario. In pratica, un’estensione di quello che ha fatto Facebook per
anni.
Noi giornalisti abbiamo poi un’occasione speciale: una chiacchierata con
Victor Zhora, uno dei principali responsabili della sicurezza informatica
ucraina. Zhora era in collegamento via Teams da Kiev (era prevista la sue
presenza, ma gli ultimi sviluppi della situazione attuale lo hanno impedito).
Pur dovendo restare vago per non dare informazioni al nemico potenzialmente in
ascolto (fra i giornalisti, per esempio; si ragiona così in tempi di guerra),
ha spiegato moltissimi dettagli dei problemi inattesi (anche legislativi) di
sicurezza informatica in uno scenario di conflitto vero e proprio, combattuto
sia fisicamente, con la distruzione delle infrastrutture, sia digitalmente,
tramite denial of service, disseminazione di disinformazione e anche
(aspetto molto interessante e inatteso) acquisizione di informazioni sul
territorio attraverso le telecamere di sicurezza private vulnerabili. La
Russia sta usando concretamente queste telecamere per avere riscontri sui
risultati dei suoi attacchi, per cui è necessario trovare il modo di mettere
in sicurezza le webcam private e aziendali (e di convincere i cittadini a
farlo).
---
L’evento vero e proprio inizia nel pomeriggio. A Helsinki c’è un clima
primaverile, tiepido e con un cielo limpido che rende ancora più godibile
spostarsi per la città. Qui regna incontrastata la mobilità pubblica e
leggera: tram, monopattini elettrici e biciclette ovunque, e tutti
camminano. I viali ampi facilitano la trasformazione della città verso un
traffico più sostenibile. Prendo appunti fotografici anche sulla mobilità
leggera, perché mi sa che nei prossimi anni se ne dovrà parlare molto.
La sala conferenze ha un videowall assolutamente spettacolare e un
impianto audio e luci all’altezza. Che bello assistere a un evento organizzato
bene, dove tutto è chiaramente visibile e udibile.
Dopo l’introduzione di Juhani Hintikka (CEO di WithSecure), c’è un
videocollegamento con Victor Zhora, il responsabile della sicurezza
informatica ucraina che noi giornalisti abbiamo già incontrato online la
mattina e stavolta fa un intervento aperto al pubblico. Pochi dettagli dal
punto di vista tecnico, ma un messaggio molto chiaro: grazie a tutti i paesi
per l’aiuto informatico, logistico e politico nella resistenza contro la
Russia, e attenzione che quello che sta succedendo a noi può succedere a voi,
soprattutto qui in Finlandia, che è ora un paese NATO con una lunga frontiera
diretta con la Russia. L’Ucraina, purtroppo, è il territorio sul quale si
stanno sperimentando in concreto tutte le teorie di cyberguerra e dal quale è
urgente imparare, perché un attacco informatico alle infrastrutture non ha i
limiti di gittata delle armi convenzionali e quindi può avvenire dappertutto.
[2023/06/28: WithSecure ha pubblicato il video, che ho incorporato qui
sotto.]
Poi sono intervenute sul palco Jessica Berlin,
Political Analyst & Strategy Advisor, che ha parlato della sua
drammatica esperienza diretta sul campo in Ucraina; Laura Koetzle,
VP & Group Director presso Forrester Research; e Christine Bejerasco,
CISO di WithSecure, che ha portato dati ed esperienze sul campo nella
sicurezza integrata nel processo produttivo e orientata ai risultati.
[2023/06/28: WithSecure ha pubblicato i video di Berlin e Bejerasco, che ho
incorporato qui sotto.]
Infine è stato il turno di Mikko Hyppönen, con un talk spettacolare
sull’intelligenza artificiale intitolato Artificial Evil.
[2023/06/28: il video è disponibile
qui
insieme alla mia trascrizione del discorso di Hyppönen.]
Trovate nelle mie foto qui sotto qualcuna delle tante idee proposte nelle
slide di Mikko: c’è abbastanza materiale per una vita di articoli, con scenari
positivi e negativi sull’intelligenza artificiale generalista e sulla
superintelligenza artificiale, che per definizione sarebbe imbattibile e
quindi diverrebbe un’arma letale. Hyppönen accenna all’idea da brivido che
siano governi dittatoriali a ottenere per primi una superintelligenza
artificiale e la usino come arma per i propri scopi. Per questo è favorevole
al modo in cui OpenAI sta gestendo quest’esplosione di IA.
Stanotte (ora italiana, le 5.37 pm EDT) è partita ed è entrata in orbita
intorno alla Terra la missione Axiom 2, la seconda missione interamente
privata diretta alla Stazione Spaziale Internazionale. Quattro astronauti sono
decollati dalla rampa 39A del Kennedy Space Center a bordo di un razzo Falcon
9 di SpaceX: Peggy Whitson (comandante), John Shoffner (pilota della capsula
Dragon), Ali Alqarni e Rayyanah Barnawi (specialisti di missione) e sono
arrivati alla Stazione oggi pomeriggio (ora italiana). Maggiori dettagli su di
loro e sulla loro missione sono sul
sito di Axiom.
Al momento nello spazio ci sono così 14 persone: undici a bordo della Stazione
Spaziale Internazionale e tre a bordo della Stazione
Nazionale Cinese.
Stazione Spaziale Internazionale (11)
Peggy Whitson (Axiom, USA) (dal 2023/05/21)
John Shoffner (Axiom, USA) (dal 2023/05/21)
Ali Alqarni (Axiom, Arabia Saudita) (dal 2023/05/21)
Le immagini del decollo del vettore gigante SLS per la missione Artemis I sono state spettacolari, ma hanno un’estetica leggermente fredda, ben diversa da quella delle riprese storiche dei lanci dei vettori Saturn V, e soprattutto mostrano meno dettagli a causa della limitata gamma dinamica delle telecamere digitali usate per documentare i lanci in epoca recente.
Il canale YouTube Curious Droid ha pubblicato un video nel quale ha criticato questo fenomeno, e poi si è dovuto felicemente correggere, perché è emerso che la NASA ha pubblicato solo le riprese digitali ma in realtà ha realizzato anche delle riprese su pellicola al rallentatore, che non ha diffuso perché effettuate solo per motivi tecnici e ingegneristici. È stata necessaria una richiesta formale di accesso, secondo il Freedom of Information Act (FOIA), per ottenerne la pubblicazione.
Queste riprese hanno la stessa spettacolarità ed estetica delle riprese Apollo di quasi sessant’anni fa, e meritano di essere viste per la loro bellezza ma anche perché dimostrano che per certi versi la tecnologia analogica su pellicola è ancora superiore a quella digitale.
Questi sono i link per scaricare dal sito della NASA le riprese integrali digitalizzate (sono file piuttosto grandi):
Sono ormai mesi che macOS Ventura (13.3.*), sul mio Mac principale, ha un comportamento particolarmente irritante: a volte, quando faccio doppio clic su un file nel Finder per aprirlo, mi dice che “non riesce a trovarlo”. Il Finder ovviamente lo elenca, e altrettanto ovviamente il file esiste ed è lì dove il Finder lo mostra, ma niente da fare. Però se faccio un secondo doppio clic sullo stesso file, macOS me lo apre correttamente.
Avete idea di come eliminare il problema? Per ora è solo una scocciatura, per cui sopportarla mi costa molto meno tempo che investigare a fondo per risolverla, ma mi piacerebbe capire cosa provoca un errore così bislacco.
Ho notato che il fenomeno riguarda tutti i tipi di file (ODT, DOC, TXT, PDF e altri) ed è comparso grosso modo dopo che ho aggiornato Dropbox alla nuova versione per macOS, che sposta la cartella dei file di Dropbox sotto /Users/nomeutente/Library/CloudStorage/Dropbox. Inoltre il problema sembra manifestarsi solo sui file gestiti da Dropbox. Ma potrebbe anche essere solo una serie di coincidenze.
Non trovo online nulla di utile: ho visto che altri utenti hanno avuto lo stesso problema, ma nessuno dei rimedi proposti sembra funzionare. Ho già forzato la reindicizzazione di Spotlight (sudo -i; mdutil -Ea; mdutil -ai off; mdutil -ai on): non è cambiato nulla.
In General > Login items ho solo Android File Transfer e Dropbox.
Aggiornamento: date un’occhiata ai commenti arrivati dopo la pubblicazione iniziale di questo post per vedere i suggerimenti e le tecniche che ho già tentato.
Aggiornamento: ho appena aggiornato a Ventura 13.4: il problema non si è ancora manifestato, ma questo non vuol dire nulla, visto che si manifesta in modo apparentemente casuale.
È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della
Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto: lo trovate presso
www.rsi.ch/ildisinformatico
(link diretto) e qui sotto.
Buon ascolto, e se vi interessano il testo di accompagnamento e i link alle fonti di questa puntata, sono qui sotto.
---
[CLIP: Gente che grida perché crede di aver visto fantasmi - da
YouTube]
Su
TikTok
e YouTube ci sono
molti
video
che mostrano persone che percorrono lentamente una strada interna di un
cimitero a bordo di una Tesla e si spaventano perché l’auto segnala sul
proprio schermo che vicino al veicolo c’è qualcuno che loro non vedono. Di
solito questi video sono accompagnati da musica inquietante e da reazioni
esagerate, che non si sa se siano sincere o recitate. Ma il tema è sempre lo
stesso: le Tesla vedono i fantasmi. Perlomeno secondo chi pubblica questi
video.
[CLIP: Persone che gridano perché credono di aver visto fantasmi]
Questa è la storia di come un TikTok Challenge in salsa paranormale ha creato
un mito, spaventa gli animi sensibili ed è un’occasione per capire meglio come
funziona realmente il riconoscimento delle immagini tramite intelligenza
artificiale, perché sbaglia e vede “fantasmi”, e soprattutto perché è
importante essere consapevoli che questi suoi sbagli possono diventare
realmente pericolosi.
Benvenuti alla puntata del 19 maggio 2023 del Disinformatico, il
podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie
strane dell’informatica. Io sono Paolo Attivissimo.
[SIGLA di apertura]
Prima di tutto, è importante chiarire che i video di “fantasmi” avvistati
dalle auto Tesla mostrano un fenomeno reale, nel senso che è davvero
possibile che sullo schermo principale di queste automobili, quello che mostra
l’ambiente intorno al veicolo, compaiano sagome di persone che non esistono.
Ma non c’è nulla di ultraterreno o paranormale: si tratta di un effetto
frequente delle tecnologie usate da questo tipo di auto.
Le auto di Tesla e di molte altre marche sono dotate di telecamere perimetrali
che guardano in tutte le direzioni. Le immagini di queste telecamere vengono
inviate al computer di bordo, che le analizza e, nel caso di Tesla, mostra
sullo schermo in cabina un’animazione tridimensionale schematica degli oggetti
che sono stati identificati da questa analisi: le strisce di delimitazione
della corsia, i cartelli stradali, i semafori, i veicoli e i pedoni.
Questa animazione è basata sul riconoscimento automatico delle immagini. Il
software di bordo è stato addestrato a riconoscere gli oggetti mostrandogli
moltissime fotografie di vari oggetti e indicandogli il tipo di oggetto
mostrato, esattamente come si fa con un bambino per insegnargli a riconoscere
le cose che gli stanno intorno. Ma le somiglianze finiscono qui, perché il
software usa un sistema molto differente da quello umano per identificare gli
oggetti.
La differenza fondamentale, semplificando molto, è che il software si basa
esclusivamente sulle immagini, cioè sulle forme e i colori, mentre una persona
usa anche il contesto, ossia informazioni come la distanza, il tipo di
ambiente in cui si trova, le regole fondamentali della realtà: per esempio un
camion non può fluttuare a mezz’aria, gli oggetti non appaiono e scompaiono di
colpo e una persona non può camminare a cento chilometri l’ora.
È questa mancanza di contesto a causare l’apparizione dei fantasmi sullo
schermo delle Tesla: il software sbaglia a interpretare l’immagine che gli è
stata inviata dalle telecamere, non ha modo di “rendersi conto” del proprio
errore valutando la plausibilità della sua interpretazione, e così mostra
sullo schermo il risultato del suo sbaglio. L’automobile non sta rivelando
cose che i nostri occhi umani non possono vedere; le sue telecamere non stanno
ricevendo emanazioni dall’aldilà. I presunti “fantasmi” sono semplicemente
errori momentanei di interpretazione automatica delle immagini.
[CLIP da Ghostbusters]
Anche le persone che credono alla natura ultraterrena di questi avvistamenti
commettono a loro volta un errore di interpretazione, a un livello molto
differente, perché non sanno come funzionano questi software. Ovviamente, se
il contesto è un cimitero, magari di notte, la fantasia galoppa e l’unica
giustificazione che viene in mente a chi non conosce queste tecnologie è la
presenza di un fantasma.
Però tutto questo non spiega come faccia un computer a sbagliare così
clamorosamente, per esempio riconoscendo una sagoma umana in un’immagine in
cui non c’è nessuno ma si vedono solo prati, fiori e qualche lapide. Scambiare
una statua per una persona avrebbe senso, per esempio, ma nei video dei
presunti fantasmi si vede chiaramente che intorno all’auto non ci sono oggetti
di forma umana. Come fa un computer a sbagliare così tanto?
Confondere sedie a dondolo e occhiali
Alexander Turner, assistente universitario presso la facoltà di scienze informatiche
all’Università di Nottingham, nel Regno Unito, spiega in un
video della serie
Computerphile su YouTube che il riconoscimento delle immagini fatto
oggi dai computer in sostanza assegna a ciascuna immagine un valore di
probabilità di identificazione.
[CLIP: dal video di Turner per Computerphile]
Per esempio, se si mostra a uno di questi software una foto di un paio di
occhiali, il software risponde che rientra nella categoria “occhiali” con una
probabilità del 93%, ma non esclude che si tratti di una sedia a dondolo o di
un corrimano di una scala, con probabilità però molto più basse.
Fotogramma tratto dal video di Computerphile.
Questo è il meglio che riesce a fare: bisogna ricordare che il software non
“sa” cosa siano gli occhiali o le sedie a dondolo, ma si sta basando
esclusivamente sulle forme e sui colori presenti nell’immagine e li sta
confrontando con i milioni di campioni di immagini di occhiali, sedie a
dondolo e corrimano sui quali è stato addestrato, misurando quanto l’immagine
proposta si avvicini a una delle categorie che conosce e poi scegliendo la
categoria che ha la maggiore probabilità di corrispondenza, cioè di
somiglianza. Tutto qui.
Questo approccio probabilistico, così lontano dalla certezza umana, porta a
una vulnerabilità inaspettata di questi sistemi di riconoscimento delle
immagini. Come spiega Alexander Turner, di solito il software assegna una
probabilità molto alta a una singola categoria e alcune probabilità molto
basse ad altre categorie, ma è possibile influenzare fortemente queste
assegnazioni con un trucco: basta cambiare qualche pixel a caso dell’immagine
e vedere se la probabilità di identificazione corretta aumenta o diminuisce di
qualche decimale. Se diminuisce, si mantiene quel pixel cambiato e si prova a
cambiarne anche un altro, e così via, ripetutamente, tenendo i pixel alterati
che fanno scendere la probabilità di identificazione esatta e fanno salire
quella di identificazione errata.
La cosa sorprendente di questa tecnica è che i pixel cambiati che alterano il
riconoscimento non hanno niente a che vedere con l’oggetto nell’immagine ma
sono una nuvola di punti colorati apparentemente casuali. Per esempio, si può
prendere una foto di una giraffa, che il software identifica correttamente
come giraffa al 61%, cambiare alcuni pixel qua e là, magari anche solo sullo
sfondo, e ottenere che il software identifichi l’immagine come cane al 63%. Ai
nostri occhi la foto mostra ancora molto chiaramente una giraffa, ma agli
occhi virtuali del software quella giraffa è ora altrettanto chiaramente un
cane.
Fotogramma tratto dal video di Computerphile.
Fotogramma tratto dal video di Computerphile.
Turner prosegue la sua dimostrazione con una foto di un telecomando per
televisori su uno sfondo bianco, che viene riconosciuta correttamente dal
software: ma spargendo opportunamente dei pixel colorati sull’immagine, il
software dichiara che si tratta di una tazza, e assegna a questa
identificazione addirittura il 99% di probabilità. Il ricercatore ripete
l’esperimento con altri pixel sparsi e il software dice con la stessa certezza
che si tratta di una tastiera, di una busta, di una pallina da golf o di una
fotocopiatrice. Eppure noi, guardando le immagini alterate, continuiamo a
vedere chiaramente che si tratta sempre di un telecomando.
Fotogramma tratto dal video di Computerphile.
La conclusione di questo esperimento è che non solo i computer riconoscono gli
oggetti in maniera molto differente da noi, ma esistono delle immagini che li
confondono completamente anche se ai nostri occhi non sono ambigue e sembrano
semplicemente foto di un oggetto sporcate da qualche puntino disposto a caso.
Noi prendiamo lucciole per lanterne, loro scambiano telecomandi per palline da
golf.
[CLIP da video di presunti fantasmi visti dalle Tesla]
Nel caso dei presunti fantasmi avvistati dalle Tesla, è probabile che una
specifica inquadratura di un particolare punto del prato di un cimitero
contenga momentaneamente un insieme di pixel sparsi qua e là, come quelli
usati nell’esperimento di Turner, che al nostro sguardo non spiccano affatto
ma che per il software spostano la probabilità di identificazione verso la
categoria “persona”.
Bisogna ricordare, infatti, che non è necessario che l’immagine sia
riconosciuta con il 100% di certezza: è sufficiente che il software assegni
alla categoria “persona” una probabilità anche solo leggermente più alta
rispetto a tutte le altre categorie. E così sullo schermo comparirà
improvvisamente e per un istante la sagoma di un essere umano.
Mistero risolto, insomma. Ma un fantasma, comunque, in questa storia c’è lo
stesso.
Il fantasma in autostrada
Gli avvistamenti di presunti fantasmi nei cimiteri a causa di errori del
software di riconoscimento delle immagini ovviamente fanno parecchia
impressione e generano video molto virali, ma c’è un altro tipo di
avvistamento fantasma da parte delle automobili dotate di telecamere che è
reale ed è importante conoscerlo perché ha conseguenze molto concrete.
Le telecamere di questi veicoli vengono usate per l’assistenza alla guida, per
esempio per il mantenimento di corsia, per la lettura dei limiti di velocità e
per l’identificazione degli ostacoli. L’auto adatta la propria velocità in
base alla segnaletica e alla presenza di barriere, veicoli o altri oggetti
lungo la strada. Ma se il software di riconoscimento delle immagini sbaglia ad
assegnare categorie agli oggetti che vede, le conseguenze possono essere
pericolose.
Questi sbagli possono essere spesso comprensibili e anticipabili da parte del
conducente, come in un
video
molto popolare che circola su Twitter e mostra una Tesla che sbaglia a
identificare una carrozza che le sta davanti e la mostra come camion, come
furgone, poi di nuovo come autoarticolato ma rivolto in senso contrario alla
direzione di marcia, e infine aggiunge un inesistente essere umano che cammina
in mezzo alla strada. Fortunatamente tutta la scena avviene a bassissima
velocità e in modalità di guida manuale; ma se fosse stata attiva la guida
assistita, come avrebbe reagito l’auto a quel pedone fantasma?
In altre circostanze, invece, lo sbaglio del software può essere completamente
incomprensibile e imprevedibile. Se il riconoscimento delle immagini del
sistema di assistenza alla guida identifica erroneamente che c’è un ostacolo
che in realtà non esiste, e lo fa perché in quell’istante l’immagine inviata
dalle telecamere contiene per caso dei pixel che spostano la probabilità di
identificazione verso la categoria “ostacolo”, l’auto potrebbe frenare di
colpo senza motivo apparente. È quello che gli utenti di questi veicoli
chiamano
phantom braking, ossia “frenata fantasma”, e se avviene nel traffico può aumentare la
probabilità di tamponamenti, perché il conducente del veicolo che sta dietro
non si aspetta che l’auto che ha davanti freni improvvisamente e senza motivo
quando la strada è libera. Le versioni più recenti dei software di guida
assistita hanno ridotto questo fenomeno, ma non è ancora scomparso del tutto.
Si può anche immaginare uno scenario in cui vengono create
intenzionalmente situazioni che sembrano innocue ai nostri occhi ma
producono errori nei sistemi di riconoscimento delle immagini. Per esempio,
per le auto a guida assistita è facile pensare a immagini speciali, applicate
al retro di furgoni o camion o cartelli stradali, oppure sul manto stradale,
che hanno un aspetto normale ma contengono uno schema di pixel apparentemente
casuali che forza i veicoli a frenare, accelerare o cambiare corsia, con
intenti ostili oppure protettivi.
Uscendo dal settore automobilistico, sono già in vendita
indumenti
che hanno colorazioni e forme che all’osservatore umano sembrano prive di
significato ma che mettono in crisi i sistemi di riconoscimento facciale delle
telecamere di sorveglianza. In campo medico, l’uso crescente di sistemi di
riconoscimento automatico delle immagini per la diagnosi può portare a sviste
devastanti se il software non ha un approccio prudente, ossia genera falsi
positivi invece di falsi negativi, e se il medico non conosce e non considera
queste debolezze del software.
Insomma, non vi angosciate: le anime dei defunti non hanno deciso di rendersi
visibili solo a chi ha un’automobile di una specifica marca. Almeno per ora.
[CLIP: Risata di Vincent Price da Thriller di Michael Jackson]