Questo articolo era stato pubblicato inizialmente il 2012/01/20 sul sito della Rete Tre della Radiotelevisione Svizzera, dove attualmente non è più disponibile. Viene ripubblicato qui per mantenerlo a disposizione per la consultazione.
Ieri sera la notizia si è diffusa in modo esplosivo, principalmente via Twitter: l'FBI ha chiuso Megavideo, Megaupload e altri siti Internet associati e le autorità della Nuova Zelanda hanno arrestato quattro titolari di questi popolarissimi siti di file sharing proprio mentre si sta discutendo negli Stati Uniti il destino dei disegni di legge SOPA e PIPA per inasprire la lotta alla pirateria audiovisiva. La reazione del gruppo Anonymous è stata immediata: attacco e interdizione d'accesso (denial of service) del sito dell'FBI, di quello del Dipartimento di Giustizia statunitense e di altri siti riguardanti il diritto d'autore.
Paradossalmente l'operazione dell'FBI sembra dimostrare che le leggi già in vigore sono più che sufficienti a reprimere i siti di file sharing che non rispettano le norme antipirateria e il suo tempismo a prima vista appare come un tentativo di influenzare il dibattito e l'opinione pubblica dopo la serrata volontaria di molti siti Internet del 18 gennaio scorso per protestare contro i danni alla libertà d'espressione nel mondo che sarebbero derivati dall'approvazione di SOPA e PIPA. Ma leggendo i capi d'accusa dell'operazione (disponibili in sintesi su Stopfraud.gov e in forma completa su Scribd) emergono dettagli estremamente interessanti.
Prima di tutto, i titolari di Megaupload non sono incriminati solo per pirateria audiovisiva: le accuse principali sono riciclaggio di denaro e creazione di un'organizzazione criminale. Poi c'è la scala enorme delle attività di Megavideo e associati: oltre 150 milioni di utenti registrati e 50 milioni di visitatori al giorno, che generavano il 4% di tutto il traffico dati di Internet. Queste attività avrebbero causato danni ai titolari dei diritti dei file scambiati per oltre 500 milioni di dollari, ma si tratta di una stima molto arbitraria.
Quello che conta – anche per le prese di posizione degli utenti della Rete – è che i gestori di Megaupload non erano semplici appassionati che condividevano film rari o le serie TV preferite per passione e senza scopo di lucro. Tramite le attività dei siti chiusi dall'FBI avevano accumulato in cinque anni oltre 175 milioni di dollari attraverso la vendita di spazi pubblicitari (25 milioni di dollari) e di abbonamenti al servizio di file sharing (150 milioni). Spendevano ogni mese milioni di dollari per la gestione degli apparati del sito. Fra i beni sequestrati dall'FBI ci sono una dozzina di Mercedes, una Rolls Royce Phantom e una Lamborghini, oltre a conti correnti milionari sparsi per tutto il mondo.
I gestori di Megavideo, inoltre, avevano consapevolmente istituito un sistema che si presentava come sito di deposito gratuito per i file degli utenti ma in realtà spingeva a sottoscrivere abbonamenti attraverso rallentamenti, limiti di tempo (72 minuti di streaming al giorno) e cancellazione dei file poco scaricati. Nel contempo offriva sostanziosi compensi in denaro agli utenti che caricavano file molto richiesti. Da qui l'accusa di associazione per delinquere.
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