Ogni tanto
qualcuno si sveglia e decide che è giunto il momento di mettere fine
alla pornografia su Internet. Purtroppo, per ragioni anche tecniche,
è come decidere di vietare per legge al vento di soffiare. Di
recente ci ha provato il governo britannico, imponendo una serie di
filtri antiporno che tutti i fornitori di Internet nel Regno Unito
sono obbligati ad attivare. I filtri bloccano i contenuti definiti
“osceni e di cattivo gusto”,
i siti che istigano all'odio e all'autolesionismo, i siti che
promuovono droghe, alcolici e tabacco, e i siti d'incontri. I singoli
utenti hanno l'opzione di rifiutare il filtro, ma il rifiuto implica
essere schedati automaticamente come pornomaniaci.
Il risultato,
esattamente come avevano previsto i tecnici che sono rimasti
inascoltati dai politici, infervorati da un furore puritano molto
spendibile con l'elettorato, è stato un flop clamoroso.
Tanto per cominciare, i
filtri sono stati aggirati nel giro di ventiquattro ore grazie per
esempio a un'estensione di Google Chrome, battezzata Go
Away Cameron (dal nome
del primo ministro che ha promosso la campagna pro-filtri) e
liberamente scaricabile. L'estensione funziona fra l'altro anche per
eludere i filtri di altri paesi.
Ma la
conseguenza peggiore di questi filtri è che hanno reso inaccessibili
(salvo uso di tecniche di elusione) molti siti assolutamente
legittimi, primi fra tutti quelli di educazione sessuale per minori e
per il supporto nei casi di abusi e violenza sessuale domestica,
promossi dalle autorità locali. Nelle maglie del sistema di blocco
sono finiti anche la British Library (la biblioteca nazionale
britannica), i siti del Parlamento e del governo britannico e molti
altri siti che nulla hanno a che vedere con la pornografia.
Soprattutto ci è finito il sito di Claire Perry, la parlamentare che
si è adoperata intensamente per l'introduzione di questi filtri.
La ragione è
molto semplice: il sito della Perry, nel fare campagna in favore di
filtri antipornografia, ha ovviamente usato frequentemente parole
legate all'argomento, come porn
oppure sex,
col risultato che i filtri, che agiscono in gran parte ciecamente
sulla base delle parole presenti in una pagina Web senza valutarne il
contesto, hanno censurato
la parlamentare che li aveva chiesti.
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