La giornalista Catalina Oquendo di El País ha pubblicato questo articolo (copia su Archive.org) il 18 aprile scorso. Daniele Mastrogiacomo, su Repubblica, ha pubblicato lo stesso giorno un articolo pressoché identico (screenshot). Parlano entrambi del dramma della fame nella periferia di Bogotà a causa della pandemia. Usando, stranamente, le stesse cifre e persino le stesse dichiarazioni.
Questo, per esempio, è un brano dell’articolo di Oquendo:
“Somos una familia de nueve personas y no estamos en ningún listado del Gobierno, tengo una mujer embarazada y dos niños más en la casa y no tengo nada para darles de comer. Por eso estoy acá”, decía una mujer mientras sacudía una camisa roja de puntos blancos.
Questo è invece un brano dell’articolo originale di Mastrogiacomo:
“Siamo una famiglia di nove persone e non appariamo in alcuna lista del governo di sostentamento. Ho una moglie incinta e due bambini ma in casa non ho nulla da mangiare”, spiega un uomo con indosso una camicetta rossa e bianca a una cronista attirata sul posto dalle voci che si rincorrono in una città spettrale. “Per questo adesso sono qui”.
Notate qualche somiglianza? Chi sarà mai la “cronista attirata sul posto” che Mastrogiacomo non nomina? E chi saranno mai queste persone che cambiano sesso ma dicono entrambe esattamente la stessa cosa indossando tutt’e due la stessa camicetta rossa e bianca?
Oquendo ha contestato pubblicamente il plagio:
Signori @repubblica, vi chiedo di rimuovere immediatamente il testo firmato da @mas54 poiché si tratta di un plagio di un testo del quale sono io l’autrice, e che é stato pubblicato sabato sul giornale @el_pais. Il suo corrispondente ha copiato e il mio articolo alla lettera: pic.twitter.com/e3zWLcHjtf— Catalina Oquendo (@cataoquendo) April 19, 2020
La risposta di Mastrogiacomo: si è “ispirato”, non capisce il problema.
Ojo a la respuesta de @mas54 que no entiende el problema 🤦🏽♀️ pic.twitter.com/VGAqkMItR8— Catalina Oquendo (@cataoquendo) April 19, 2020
Screenshot:
In traduzione (correggetemi se ho sbagliato qualcosa): “Salve Catalina, [scusami] se mi sono ispirato al tuo articolo, l'ho trovato pieno di dettagli importanti in un momento così difficile che coinvolge tutto il mondo. Non capisco il problema. Come vedi l'ho scritto in italiano basandomi sulle informazioni che tu hai riportato dalla Colombia, dove tu vivi e io no. Succede la stessa cosa con i miei articoli, più volte.”
Da Mastrogiacomo e Repubblica nessuna attribuzione, nessuna citazione della fonte, nessun link all’articolo di Oquendo.
Poi la gente mi chiede perché non faccio il buonino e contatto privatamente giornalisti e redazioni. Mi chiede perché uso etichette come “giornalismo spazzatura”. Ecco perché. Perché chi copia e plagia, e chi risponde così ipocritamente a chi lo rimprovera, e se ne fotte della deontologia, va sputtanato pubblicamente.
Questo è il giornalismo di Repubblica. Questi sono quelli (FIEG) che si lamentano che Telegram ruba gli articoli. Questi sono quelli (Ordine Nazional dei Giornalisti) che vorrebbero mettere i bollini alle notizie.
2020/04/21 13:10
L’articolo su Repubblica, quello del quale Mastrogiacomo non capiva il problema, è stato aggiornato estesamente per citare la fonte. Ecco a confronto la versione originale e la versione attuale, priva di qualunque scusa o indicazione di rettifica, con buona pace della deontologia. Ho evidenziato in grassetto le modifiche principali.
Versione originale | Versione attuale |
Un drappo, una maglietta, una felpa, una federa. Tutti rossi. Punteggiano le facciate dei palazzi di Soacha, periferia povera di Bogotá. Sono i nuovi segnali di soccorso: uomini e donne, giovani coppie, intere famiglie da tre settimane tappate in casa per arginare il coronavirus e che adesso hanno finito i soldi, non possono neanche più comprare da mangiare. Qui vivono 50mila persone, gente costretta a lasciare paesi e campi, fattorie e animali, vittime di un esodo forzato, ex guerriglieri che da tre anni cercano di ricostruirsi una vita, venezuelani fuggiti da una catastrofe sopportati a fatica da un popolo che sopravvive con difficoltà. E che adesso, in piena emergenza Covid 19, costretti a stare a casa, con le strade vuote, senza più possibilità di vendere le cose che hanno sempre venduto, di svolgere quei lavori informali, senza alcuna protezione, assistenza, cure sanitarie, patiscono la fame. Accade nei quartieri popolari della capitale. | Un drappo, una maglietta, una felpa, una federa. Tutti rossi. Punteggiano le facciate dei palazzi di Soacha, periferia povera di Bogotá. Sono i nuovi segnali di soccorso: uomini e donne, giovani coppie, intere famiglie da tre settimane tappate in casa per arginare il coronavirus e che adesso hanno finito i soldi, non possono neanche più comprare da mangiare. Qui vivono 50 mila persone, gente costretta a lasciare paesi e campi, fattorie e animali, vittime di un esodo forzato, ex guerriglieri che da tre anni cercano di ricostruirsi una vita, venezuelani fuggiti da una catastrofe sopportati a fatica da un popolo che sopravvive con difficoltà. E che adesso, in piena emergenza Covid 19, costretti a stare a casa, con le strade vuote, senza più possibilità di vendere le cose che hanno sempre venduto, di svolgere quei lavori informali, senza alcuna protezione, assistenza, cure sanitarie, patiscono la fame. Accade nei quartieri popolari della capitale. |
Ma questo simbolo di una crisi che oltre a essere sanitaria colpisce la parte più debole dei debole dei colombiani, l’esercito degli ambulanti, degli invisibili, gli ultimi degli ultimi, il 45 per cento della popolazione, si sia trasformato in un simbolo di lotta e di protesta. Nelle comunas alte di Medellín, dove dai balconi si battono i mestoli contro pentole e padelle, nelle calde pianure della Magdalena, nord del Paese, nelle lande paludose di Ciudad Bolívar, periferia estrema di Bogotá, nel quartiere di Bosa Porvenir, sempre ai margini della capitale, le stoffe rosse sono il nuovo Sos lanciato da chi cerca di salvarsi dalla pandemia ma rischia di morire di fame. | La giornalista di El País, Catalina Oquendo, ha raccolto questo grido di aiuto e con notevole coraggio visto i rischi del coronavirus, riuscendo a ottenere un permesso per uscire di casa assieme a un fotografo, si è recata sul posto e ha confermato quello che le voci raccontavano in una Bogotà blindata. Nella sua corrispondenza racconta come questo aspetto nascosto di una crisi che oltre a essere sanitaria colpisce la parte più debole dei colombiani, l’esercito degli ambulanti, degli invisibili, gli ultimi degli ultimi, il 45 per cento della popolazione, si sia trasformato in un simbolo di lotta e di protesta. “Nelle comunas alte di Medellín, dove dai balconi si battono i mestoli contro pentole e padelle, nelle calde pianure della Magdalena, nord del Paese, nelle lande paludose di Ciudad Bolívar, periferia estrema di Bogotá, nel quartiere di Bosa Porvenir, sempre ai margini della capitale”, osserva la collega, “le stoffe rosse sono il nuovo Sos lanciato da chi cerca di salvarsi dalla pandemia ma rischia di morire di fame”. |
Perfino i lenzuoli e le federe bianche appese alle finestre ad asciugare sono state macchiate con vernice rossa in un sentimento di solidarietà collettiva che avvolge tutta la Colombia. “Siamo una famiglia di nove persone e non appariamo in alcuna lista del governo di sostentamento. Ho una moglie incinta e due bambini ma in casa non ho nulla da mangiare”, spiega un uomo con indosso una camicetta rossa e bianca a una cronista attirata sul posto dalle voci che si rincorrono in una città spettrale. “Per questo adesso sono qui”. | Perfino le lenzuola e le federe bianche appese alle finestre ad asciugare sono stati macchiati con vernice rossa in un sentimento di solidarietà collettiva che avvolge tutta la Colombia. “Siamo una famiglia di nove persone e non appariamo in alcuna lista del governo di sostentamento. Ho una moglie incinta e due bambini ma in casa non ho nulla da mangiare”, spiega a Catalina Oquendo un uomo con indosso una camicetta rossa e bianca, “per questo adesso sono qui”. |
La chiamano la “strategia del drappo rosso”. È stata adottata anche da alcune amministrazioni. Il municipio di Envigado, il più ricco della Colombia, ha deciso di appendere una bandiera rossa all’ingresso del palazzo comunale. “Abbiamo fatto nostra questa iniziativa popolare”, dice il sindaco Braulio Espinosa, “per chiedere un aiuto più concreto e meno burocratico al governo nazionale e agli imprenditori”. | La chiamano la “strategia del drappo rosso”. È stata adottata anche da alcune amministrazioni. Il municipio di Envigado, il più ricco della Colombia, ha deciso di appendere una bandiera rossa all’ingresso del palazzo comunale. “Abbiamo fatto nostra questa iniziativa popolare”, conferma sempre alla cronista di El País il sindaco Braulio Espinosa, “per chiedere un aiuto più concreto e meno burocratico al governo nazionale e agli imprenditori”. |
Chi non ha più nulla in frigo e nelle dispense alla fine scende per strada. Agita le bandiere rosse, indossa capi rossi, si copre viso e naso con pezzi di stoffa anche questi rossi. Protestano e alzano cartelli. Tutti sanno cosa chiedono. Qualcuno si è organizzato per raccogliere un po’ di cibo. Altri girano per le case e recuperano quello che alcuni sono disposti a offrire. Poi passano davanti alle porte delle case che hanno lanciato la richiesta di aiuto e lasciano sull’uscio qualcosa che li sfamerà. Tutti conoscono questo popolo di lavoratori informali che lo Stato non ha mai registrato. Gente venuta dalle regioni interne, costrette a fuggire per gli scontri tra bande e guerriglia, approdata in una città dove ricchi e poveri, poveri e poverissimi, si mischiano in un circuito fatto di piccoli commerci, lavori saltuari e improvvisati. Una catena infinita che consente di sopravvivere adesso spezzata da un virus che minaccia di ucciderti anche di fame. | Chi non ha più nulla in frigo e nelle dispense alla fine scende per strada. Agita le bandiere rosse, indossa capi rossi, si copre viso e naso con pezzi di stoffa anche questi rossi. Protestano e alzano cartelli. Tutti sanno cosa chiedono. Qualcuno si è organizzato per raccogliere un po’ di cibo. Altri girano per le case e recuperano quello che alcuni sono disposti a offrire. Poi passano davanti alle porte delle case che hanno lanciato la richiesta di aiuto e lasciano sull’uscio qualcosa che li sfamerà. Tutti conoscono questo popolo di lavoratori informali che lo Stato non ha mai registrato. Gente venuta dalle regioni interne, costrette a fuggire per gli scontri tra bande e guerriglia, approdata in una città dove ricchi e poveri, poveri e poverissimi, si mischiano in un circuito fatto di piccoli commerci, lavori saltuari e improvvisati. Una catena infinita che consente di sopravvivere adesso spezzata da un virus che minaccia di ucciderti anche di fame. |
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