Questa foto (credit: @mothattacks) mostra il datacenter di Strasburgo della Ovh, colpito da un incendio il 10 marzo scorso. In questo datacenter venivano ospitati i dati di migliaia di clienti della società francese: era insomma la parte concreta di quello che in gergo viene definito cloud. Quel cloud è diventato letteralmente una disastrosa nuvola di fumo.
Trovate tutti i dettagli e i nomi di molti dei clienti colpiti in questo articolo di Wired.it, ma il dato più importante è che Ovh ha invitato gli utenti ad attivare i propri piani di disaster recovery. Questo di solito non è un buon segno, e significa che i dati custoditi presso il datacenter sono da considerare perduti.
Anche se la dinamica di questo incendio è ancora tutta da definire, il segnale di fumo è molto chiaro: depositare i propri dati nel cloud non implica automaticamente che il gestore del cloud ne abbia una copia di scorta per emergenze come queste (leggete attentamente il vostro contratto) ed è possibile che spetti al cliente fare questa copia di scorta altrove.
Per contro, implica che se i vostri processi di lavoro dipendono dalla disponibilità di quei dati depositati nel cloud, in caso di disastro che colpisce il cloud non potrete più lavorare. A meno che abbiate una copia di scorta locale o presso un cloud separato.
Casi come questo sono un’occasione importante per riflettere sulle proprie strategie di backup e sui propri piani di disaster recovery. Ne avete uno? Lo avete mai messo alla prova? Sareste in grado di lavorare senza accesso al cloud? È il momento giusto per farsi queste domande.
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