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2022/05/17

Propongo un nuovo hashtag: #checcevoismo

Ultimo aggiornamento: 2022/05/18 8:45.

Oggi (17/5) mi è stato segnalato un tweet di Carlo Calenda che proponeva, per l’ennesima volta, l’obbligo di identificarsi presso i social network: “Unica soluzione l’obbligo di registrarsi con identità verificata! Basta ragazzini di 10 anni che si espongono, profili falsi/anonimi che insultano. La libertà è responsabilità. A questo ho dedicato un capitolo nel mio libro “la libertà che non libera” [link al suddetto libro su Amazon].

Ho provato pacatamente a rispiegare quali sono i problemi di questa proposta (e ci hanno riprovato anche Massimo Mantellini e Stefano Zanero), ed è iniziata la fiera dei commentatori che pensavano di risolvere con un tweet problemi che hanno messo in crisi gli esperti e le menti migliori del settore. Per cui propongo di adottare un hashtag che riassuma concisamente questo comportamento: #checcevoismo.

Checcevoismo, s.m. Atteggiamento delle persone che credono che il lavoro altamente professionale e sofisticato di qualcun altro sia facile e che sarebbero in grado di farlo anche loro e pure meglio. Etim. Romanesco “che ce vo’”, “che ci vuole”, sarcasmo usato per affermare che un dato compito è ritenuto facile.

Credo di averlo coniato io l’anno scorso; non ne trovo altri usi precedenti online, ma potrei sbagliarmi.

Raccolgo qui il thread di Zanero, datato 2019, per comodità di lettura:

Innanzitutto bisognerebbe chiarire quale problema vogliamo affrontare:
A) le fake news?
B) gli insulti o la diffamazione a mezzo social?
C) apologia di reato, minacce, etc?
D) le botnet di account finti, troll e simili che infestano i dibattiti?

E non vale rispondere “tutti”.

Sono cose diverse e hanno soluzioni diverse. Il cosiddetto “anonimato online” in realtà già non esiste: esiste lo pseudonimato, ovvero la possibilità di usare un nickname o un nome finto anziché quello vero. Ora, lo pseudonimato è positivo.

Consente a un giovane LGBT di chiedere informazioni o conoscere persone senza rischi; consente a un oppositore politico di pubblicare la sua opinione senza ritorsioni; protegge in generale i deboli dai forti e dai bulli: non tutti sono o devono essere eroi per esprimersi!

Quindi “eliminare lo pseudonimato” non solo non è fattibile come vedremo, ma non è nemmeno desiderabile: i dittatori e i bulli detestano lo pseudonimo che consente di dire che il re è nudo.

In realtà ciò che alcuni vorrebbero è “poter punire chi commette reati” (punti B e C) e “impedire l’uso di botnet o account finti” (punto D). Per la prima cosa il problema in realtà è inesistente, per la seconda cosa il problema non è risolvibile con una legge, vediamo perché.

Esistono due tipi di regole che si potrebbe cercare di imporre: 1) imporre a chiunque di usare IL PROPRIO NOME per twittare o 2) imporre a chiunque di lasciare presso il social network dei dati identificativi, pur continuando a usare uno pseudonimo

La soluzione 1 abbiamo già detto essere sbagliata, ma entrambe sono equivalenti nell’essere irrealizzabili e inutili. Già ora, chiunque usi un social network è rintracciabile (a meno di casi particolari) sulla base del proprio IP. Tale IP va chiesto mediante rogatoria.

Le obiezioni qui di solito sono che a) la rogatoria si fa solo per i reati b) è inefficiente e c) a volte l’IP è mascherato. Alla a) si risponde che è giusto così, solo i reati vanno repressi. Alla b) si risponde che anche nella soluzione 2 sopra si dovrà comunque fare rogatoria.

Rimane la c). Ma pensateci: questa legge si applicherà solo in Italia. Chi è in grado di mascherare l’indirizzo IP, sarà anche in grado di passare per straniero. Semplicemente questa proposta di legge penalizzerà i cittadini rispettosi della stessa e non influenzerà gli altri.

Un ulteriore problema che rende tutte queste ipotesi pura fantasia è: anche volendo chiedere “i documenti” per registrarsi “col proprio nome”, come si verificano quei documenti? Perché mandare un documento alterato è un amen. Di nuovo si colpiscono solo i cittadini onesti.

Infine, tutto quanto sopra (che è comunque inutile) toccherebbe solo i casi B e C da cui siamo partiti. Non i casi A e D perché ovviamente chi crea account fake a raffica banalmente non opera dall’Italia. Finita lì.

Stefano Quintarelli mi segnala questo suo intervento video (in inglese) sull’argomento, che propone alcune possibili soluzioni (da 7m00s in poi per 15 minuti circa):

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