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2017/10/09

“Le Iene” torna a parlare di Blue Whale

Persone che affrontano seriamente
il tema del suicidio giovanile.
Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete farne una anche voi per incoraggiarmi a scrivere ancora. Pubblicazione iniziale: 2017/10/09 5:06. Ultimo aggiornamento: 2017/10/09 11:50.

Se non leggi altro, leggi almeno questo: non è vero che se non finisci il Blue Whale Challenge uccideranno i tuoi genitori; quelli che si spacciano per “curatori” sono solo dei bulli malati che vogliono fregarti. Puoi batterli con un clic: bloccali. Le Iene vogliono spaventarti con il Blue Whale per fare soldi con la pubblicità. Non farti fregare: spegni la TV. Se sei finito nel Blue Whale o in qualche “sfida” simile, o conosci qualcuno che ci è finito, parlane con gli amici, con i genitori, con un docente. Troverai aiuto. 

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Nella puntata andata in onda domenica sera su Italia 1, il programma Le Iene è tornato a parlare del cosiddetto Blue Whale Challenge (BWC): una presunta sfida online che spingerebbe tantissimi giovani al suicidio tramite le istruzioni fornite via Internet da un cosiddetto “curatore”.

Riassumo le puntate precedenti della vicenda:

  •  Le Iene aveva già parlato del BWC il 14 maggio scorso, suggerendo che questa sfida avesse già fatto vittime in Italia e creando così un panico mediatico enorme nel paese ma generando anche molte proteste e critiche (per esempio Valigia Blu) per la carenza di prove e per il sensazionalismo esasperato.
  • Andrea Rossi di Alici Come Prima aveva poi dimostrato (video) che i video di suicidi mostrati in maniera così drammatica da Le Iene erano falsi: non si riferivano affatto al Blue Whale Challenge.
  • Il 7 giugno, Matteo Viviani (de Le Iene) aveva poi ammesso sul Fatto Quotidiano che non aveva verificato la provenienza di quei video: una leggerezza assolutamente imperdonabile, specialmente su un tema delicatissimo come il suicidio giovanile.
  • Dopo qualche giorno di clamore, tutti i media italiani hanno smesso di parlare di Blue Whale, come ha notato Wired.it (“Che fine ha fatto Blue Whale?”, 29 settembre).
  • La paventata ondata di suicidi che sarebbero stati istigati in Italia da questa sfida non c’è stata.

Il ritorno de Le Iene sull’argomento domenica sera è stato molto meno sensazionalista rispetto alla prima puntata: ha presentato documentazioni e interviste ad autorità in mezzo mondo, dando l’impressione di dimostrare di aver avuto ragione. Ma guardando il nuovo servizio con attenzione emerge che in realtà la redazione del programma ha tentato furbescamente di spostare i paletti della discussione per scagionarsi, attribuendo ai suoi critici cose che non hanno mai detto o scritto.

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Primo paletto spostato: Matteo Viviani sostiene ripetutamente che chi ha criticato il primo servizio de Le Iene sul BWC avrebbe detto che questa sfida non esiste ed è una bufala. È falso.

I critici (me compreso) in realtà hanno detto che il concetto di BWC esiste, che i suicidi giovanili esistono e in particolare in Russia sono molto numerosi, ma mancano prove ufficiali che colleghino BWC e suicidi, specialmente in Italia (BBC; The Globe and Mail; Il Post). In particolare, i 130 casi di suicidio giovanile in Russia citati da molti giornali di tutto il mondo non sono affatto collegati specificamente al BWC.

Infatti Blue Whale Challenge è semplicemente una delle tante sigle usate nei gruppi online dedicati al suicidio; è quella, fra le tante, che i giornalisti hanno preso e pompato. Concentrarsi su una sola sigla invece di occuparsi del problema dei suicidi e degli adescatori e istigatori online è solo sciacallaggio ingannevole; è come parlare di incidenti stradali raccontando solo quelli causati dalle Peugeot arancioni. Mi verrebbe da dire che è pigrizia giornalistica, ma Le Iene non è un programma giornalistico, è un varietà.

Insomma, i principali critici non hanno detto che il BWC è una bufala: hanno invece detto che parlarne in maniera sensazionalista e irresponsabile come aveva fatto Le Iene avrebbe ispirato emulatori e avrebbe reso reale un fenomeno che forse inizialmente era solo un meme e un mito di paura inventato, come Slenderman.

Chi, come me, va spesso nelle scuole italiane a parlare di informatica e sicurezza agli studenti e ha figli in età scolare sa benissimo che si mormorava di BWC ben prima del primo intervento de Le Iene e degli articoli sui giornali italiani: ma abbiamo preferito parlarne responsabilmente, caso per caso, invece di ingigantire il problema, di concentrarci ingannevolmente su una sola sigla, di creare falsi allarmi e di seminare il panico. 

L’arresto in Russia di Ilya Sidorov con l’accusa di essere un “curatore” del BWC, segnalato in questo video da Viviani l’11 giugno scorso e citato anche nella puntata di ieri sera de Le Iene, viene presentato dal programma come una dimostrazione dell’esistenza del fenomeno BWC. Ma in Russia i media parlano di BWC dal 2016, per cui viene il dubbio che Sidorov sia un emulatore, creato involontariamente dal clamore mediatico. Questo arresto (con tanto di videoconfessione estorta in condizioni agghiaccianti) dimostra soltanto che adesso in Russia c’è chi adesca usando la sigla Blue Whale Challenge resa famosa dai media.

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Secondo paletto spostato: nel nuovo servizio, Viviani chiede ripetutamente agli esperti e inquirenti intervistati se sia giusto o no parlare pubblicamente del Blue Whale Challenge e tutti gli rispondono che se ne deve assolutamente parlare. Questo sembra dare ragione a Le Iene per averne parlato.

Ma è falso che i critici abbiano detto che non se ne deve parlare: hanno detto invece che è importantissimo come se ne parla. Non si parla di suicidio giovanile fra un frizzo e un lazzo e una pubblicità in un programma di varietà come Le Iene. Non si mostrano video di suicidi (oltretutto falsi). Non si mette la musica struggente. Non si spaccia un dramma di famiglia per un caso italiano di Blue Whale intervistando e imbeccando un bambino. Se ne parla al telegiornale e nei programmi di approfondimento giornalistico serio; se ne parla nelle scuole con i docenti e con gli esperti della polizia; si rispettano le linee guida sviluppate dall’OMS per non peggiorare il problema. Si mette in guarda in generale contro ogni adescatore, invece di fissarsi su una singola sigla pittoresca.

La cosa più assurda è che Matteo Viviani si contraddice e si sbufala da solo quando tenta di dimostrare che l’allerta Blue Whale è un problema serio mostrando come è stato gestito negli altri paesi: tramite le autorità, i telegiornali, i programmi TV giornalistici, le forze di polizia, gli psicologi e i docenti, andando anche nelle scuole a fare prevenzione e informazione competente, responsabile e sensibile. Appunto: se è un problema serio, e il suicidio giovanile lo è, non lo si tratta mandando in TV uno vestito di nero col cravattino e la barba di tre giorni a mostrare video farlocchi fra una battutina e l’altra.

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Visto che questa nuova sparata de Le Iene probabilmente risolleverà la questione Blue Whale, segnalo alcuni link con le informazioni di base sulla vicenda, utili per discuterne per esempio in famiglia o in classe:

– I consigli della Polizia Postale per gestire questo allarme, che la Polizia non conferma (usa parole come “eventuale”, “sembrerebbe“). La pagina risale al 22 maggio 2017; ho linkato la versione su Archive.org perché il sito della Polizia Postale in questo momento sembra sovraccarico, e aggiungo una copia su Archive.is.

– L’indagine di Davide Bennato, docente di Sociologia dei media digitali all’Università di Catania, maggio 2017: “delle oltre 40 segnalazioni su cui sta indagando la Polizia Postale, al momento nessuna sembra essere connessa al fenomeno del Blue Whale...Attraverso il processo di cassa di risonanza dei social media – alimentato pesantemente dai mass media – un fenomeno controverso si sta trasformando in una realtà fattuale giocando sulla paura delle persone.

– L’indagine del celebre sito antibufala Snopes, che classifica il Blue Whale Challenge come “non dimostrato“ e ne ricostruisce le origini in Russia.

– L’indagine di Know Your Meme, che definisce il BWC “leggenda metropolitana” notando che “nonostante si asserisca che oltre 100 suicidi di adolescenti siano collegati” a questa sfida “non sono state trovate prove dirette”.

– La ricerca di Sofia Lincos Blue Whale: storia di una psicosi.

– La ricerca di David Puente.

– La ricerca di Bufale un tanto al chilo.

– Le raccomandazioni dello UK Safer Internet Centre, che definisce il BWC “una falsa notizia sensazionalizzata”.

– Il mio articolo di maggio 2017, che contiene molti rimandi a fonti, indagini e linee guida per parlare correttamente di un dramma che è molto reale e non va assolutamente ridotto a una sigla. Da questo articolo riprendo queste raccomandazioni per giornalisti e comunicatori:

Come parlare correttamente del suicidio giovanile

Prima di parlare di Blue Whale e di qualunque forma di istigazione al suicidio, consultate i vostri esperti locali (come 147.ch, disponibile anche in italiano). Le raccomandazioni degli esperti concordano su alcuni punti (informativa ISTAT; linee guida generali OMS; risorse della International Association for Suicide Prevention), che valgono specialmente per i giornalisti (linee guida OMS specifiche) ma riguardano chiunque:
  • È importante evitare di indugiare sulle descrizioni dei dettagli di un suicidio o indicarne i luoghi: questo tende ad aumentare il rischio di imitazione.
  • Bisogna invece concentrarsi sui sentimenti evocati dalla notizia.
  • Bisogna essere sinceri, chiari e concisi, senza usare giri di parole o eufemismi che possono creare equivoci.
  • Bisogna spiegare che è normale provare sentimenti come rabbia, colpa, paura, insensibilità apparente di fronte a un dramma come questo.
  • Non bisogna indugiare sulle ipotetiche colpe o responsabilità, ma ispirare e manifestare offerte di ascolto, sicurezza, protezione e amore.
Da parte mia aggiungo: giornalisti, non chiamatelo “gioco”.

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