Cominciamo dalla tuta “più spaziale” di tutte: quella presentata dalla NASA come tuta da usare sulla Luna. Si chiama xEMU, che sta per Exploration Extravehicular Mobility Unit.
La tuta lunare xEMU della NASA. Credit: Loren Grush/TheVerge. |
Si tratta di un prototipo di quella che dovrebbe essere indossata dagli astronauti americani quando torneranno sulla Luna, teoricamente nel 2024 ma più plausibilmente qualche anno più tardi. Rispetto alle tute Apollo di cinquant’anni fa ha parecchie migliorie.
Tanto per cominciare, è molto più flessibile: la donna che la indossava (l’ingegnera di tute spaziali Kristine Davis) si è chinata fino a terra a prendere un sasso, cosa impossibile con quelle Apollo, ma va detto che la tuta non era pressurizzata. Consente rotazioni del tronco e permette di flettere le gambe in una camminata più naturale. Infatti gli astronauti lunari Apollo saltellavano anche perché facevano una fatica enorme a piegare le durissime articolazioni delle gambe delle proprie tute.
Un’altra novità è che la tuta xEMU si adatta a una gamma di corporature molto più ampia, “dal primo percentile femminile al novantanovesimo percentile maschile”, secondo quanto ha dichiarato una delle progettiste durante la presentazione. Le tute Apollo, e anche quelle americane a bordo dello Shuttle e della Stazione Spaziale, non hanno questa adattabilità.
La xEMU è inoltre progettata per resistere meglio alla polvere lunare, finissima ed estremamente adesiva e abrasiva: a differenza di quelle Apollo, non ha cerniere lampo o cavi e i suoi componenti principali sono sigillati. Come si vede nella foto qui sopra, la calotta del casco è molto più grande e la sua parte trasparente è più ampia, offrendo un campo visivo maggiore all’astronauta.
Mancano per ora, però, alcuni dettagli importanti: non ci sono alette parasole (ma è prevista una visiera protettiva sacrificabile, facilmente sostituibile) e non c’è nulla che consenta agli astronauti di fare adattamenti di pressione stringendo il naso o semplicemente di grattarsi il naso o il viso quando serve (le tute attuali hanno un dispositivo Valsalva apposito).
Non ci sarà lo “Snoopy cap”, il cappuccio reggimicrofoni usato dagli astronauti attuali, che è scomodo e spesso causa forte sudorazione: la tuta sarà invece dotata di microfoni multipli che si attiveranno automaticamente.
Inoltre l’entrata nella tuta è relativamente semplificata: invece di due parti (“giacca” e “pantaloni”, da accoppiare a tenuta alla vita), la tuta è normalmente monoblocco (ha parti intercambiabili che però di solito restano montate) e vi si entra dallo sportello posteriore che sta fra lo “zaino” e la tuta stessa, ispirandosi al modello russo, come si può vedere nel video qui sotto. Entrare e uscire non è facile e richiede comunque assistenza, ma questa tecnica elimina uno dei punti delicati delle tute passate.
Lo “zaino” contiene la riserva d’aria e i filtri che rimuovono l’anidride carbonica espirata e anche gli odori e l’umidità, che invece tormentavano gli astronauti lunari Apollo. La miniaturizzazione della tecnologia in questi cinquant’anni ha reso possibile la duplicazione a bordo di quasi tutti i componenti del sistema di sopravvivenza, a differenza del passato, aumentando la sicurezza e l’affidabilità. La tuta xEMU è concepita per gestire temperature da -156°C a +120°C.
Sottolineo ancora una volta che si tratta di un prototipo, che non ha ancora superato i test in vuoto e le fasi di revisione avanzata previste per il 2021, per cui potrebbe subire ancora parecchie modifiche prima del suo debutto, che è previsto a bordo della Stazione prima dell’uso sulla Luna. Altre foto della tuta sono qui su Flickr.
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La NASA ha anche presentato la tuta OCSS (Orion Crew Survival System), che è invece realizzata su misura per il singolo astronauta che viaggerà nel veicolo spaziale Orion verso la Luna ed eventualmente Marte; non viene usata per passeggiate spaziali o escursioni lunari, ma serve per proteggere l’astronauta in caso di decompressione improvvisa o incendio durante le fasi più delicate del volo spaziale, come il decollo e il rientro in atmosfera.
Credit: NASA/Joel Kowsky. |
La OCSS deriva dalle tute usate a bordo degli Shuttle, ma è più leggera, assorbe meglio i rumori esterni ed è più facile da indossare e da collegare ai sistemi di comunicazione. Il colore arancione è stato scelto, come in passato, per avere la massima visibilità qualora gli astronauti dovessero uscire dalla capsula dopo un ammaraggio al ritorno sulla Terra. I guanti sono ora compatibili con gli schermi touch dei nuovi veicoli spaziali.
Questa tuta è pressurizzata e antincendio, e gestisce meglio le variazioni di temperatura. Sotto la tuta, gli astronauti indosseranno una sorta di calzamaglia foderata di tubicini nei quali scorre liquido refrigerante per rimuovere il calore corporeo in eccesso, come nelle tute attuali. In emergenza, la tuta consente all’astronauta di sopravvivere fino a sei giorni, anche se chiaramente non in condizioni molto agevoli.
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La Virgin Galactic, infine, ha presentato le sue “tute spaziali” per i voli suborbitali commerciali che effettuerà a partire dal 2020.
Dancing in weightlessness. The world’s first exclusive spacewear system for private astronauts, designed by @UnderArmour in collaboration with @VirginGalactic. https://t.co/FpH4SIjvO0 pic.twitter.com/msXsBulHUi— Virgin Galactic (@virgingalactic) October 16, 2019
Ho messo le virgolette intorno all’espressione tute spaziali perché Virgin Galactic le chiama così, e formalmente sono tute da usare nello spazio, ma non hanno nessuna delle caratteristiche di sopravvivenza delle tute spaziali convenzionali: si tratta più che altro di divise con alcune imbottiture e ottimizzazioni di traspirazione e termoregolazione, ma non sono in grado di proteggere un astronauta in caso di depressurizzazione della cabina.
Fonti aggiuntive: NASA, NASA, Virgin Galactic.
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