Questa è sicuramente una delle tesi di complotto più bizzarre che mi sia capitato di indagare: Wind of Change, il successo mondiale della band tedesca degli Scorpions (14 milioni di copie vendute), sarebbe stata scritta dalla CIA come strumento di propaganda per contribuire al crollo dell’Unione Sovietica.
Perlomeno questo è quello che viene fuori se scrivete il titolo della canzone in Google. Di certo Wind of Change è uscita nel momento giusto, ossia nel 1991, poco dopo la caduta del Muro di Berlino (novembre 1989) e poco prima del fallito colpo di stato che portò poi allo scioglimento dell’Unione Sovietica; parla della fine della Guerra Fredda e, appunto, dei “venti di cambiamento” che soffiavano in quel periodo. Il suo testo, inoltre, cita espressamente Mosca (“I follow the Moskva / Down to Gorky Park”).
La tesi del coinvolgimento della CIA è nata di recente e arriva da un giornalista statunitense, Patrick Radden Keefe, che ha pubblicato a maggio 2020 una serie di podcast intitolata appunto Wind of Change nella quale viene citata una dichiarazione di un ex dipendente della CIA che racconta di aver sentito da un collega che la canzone era nata da una collaborazione tra la band e l’agenzia di intelligence: in altre parole, solo una diceria, senza nessun documento a supporto.
La band ha smentito in maniera molto divertita questa tesi di complotto per bocca del suo cantante Klaus Meine: “È un’idea intrigante, divertente, ma non è vera per niente”. Inoltre il giornalista stesso ha dichiarato di non ritenere “che la CIA abbia confezionato i sentimenti di Wind of Change”.
Però sappiamo di episodi reali in cui la CIA si è infiltrata nel mondo dello spettacolo o lo ha usato come copertura, come nel caso della finta troupe cinematografica usata nel 1979 per far uscire dall’Iran alcuni ostaggi statunitensi (una storia riassunta dal film Argo nel 2012). Negli anni Cinquanta artisti come Louis Armstrong, Dave Brubeck e Dizzy Gillespie viaggiarono per il mondo, e in particolare nei paesi dei blocco sovietico, a spese del Dipartimento di Stato statunitense come “ambasciatori culturali” a scopo di propaganda.
La storia della banda tedesca è insomma l’aggancio perfetto per vendere un podcast: accattivante e plausibile anche se non basata sui fatti.
Fonti aggiuntive: Blabbermouth, Rolling Stone, The Nation, DW, New York Times.
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