Pochi giorni fa degli intrusi digitali sono entrati nella telecamera di sorveglianza Ring nella cameretta di una bambina di 8 anni in Mississippi e hanno cominciato a parlarle e prenderla in giro (c`è anche il video), sono avvenute varie altre intrusioni ed è emerso che sono stati pubblicati online 3600 indirizzi di mail, password, localizzazioni e altri dati personali di utenti Ring.
Amazon, fabbricante dei sistemi di sicurezza interconnessi Ring, si è difesa dando la colpa agli utenti: gli attacchi sarebbero andati a segno, dice Amazon, perché gli utenti hanno riutilizzato per i propri Ring delle password che usavano altrove ed erano già state rivelate da altri attacchi a questi altri servizi, e non hanno attivato l’autenticazione a due fattori.
La Electronic Frontier Foundation, però, nota che Amazon ha dimenticato un dettaglio tecnico importante: l’azienda si è accorta degli attacchi soltanto quando glieli hanno segnalati i ricercatori di sicurezza. E se le cose sono andate come dice Amazon, ossia se gli aggressori hanno tentato decine di migliaia di nomi utenti e password sul sito di Ring, Amazon avrebbe dovuto notare questo enorme numero di tentativi falliti e allertare gli utenti: un limite al numero di tentativi falliti è una prassi di sicurezza fondamentale, soprattutto quando ci sono di mezzo dati enormemente sensibili.
Le telecamere e i campanelli “smart”, infatti, vedono anche dentro gli spazi privati delle case, consentendo a criminali e ficcanaso di vedere in diretta chi c’è e non c’è, di riguardare le registrazioni video dei locali sorvegliati, acquisire la geolocalizzazione delle telecamere e quindi andare a colpo sicuro. Sicuro per loro.
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