Vuol dire che i social network ci ascoltano tramite i microfoni dei nostri telefonini? No: c’è un’altra spiegazione, e ne parlo da 4:30. Guardate però anche i servizi che accompagano il mio intervento e quello dell’ospite Giacomo Poretti, dell’Istituto sistemi informativi e networking della SUPSI.
Notate che a 16:44 Poretti mostra un tablet e-ink reMarkable. Poche ore dopo, fuori onda, sul mio telefono è comparsa in Instagram la pubblicità dello stesso, identico oggetto. Come è possibile?
Oggi pomeriggio ero a Filo Diretto @RSIonline e in studio c'era un tablet e-ink di questa marca. Stasera per la prima volta su Instagram vedo la pubblicità di quella stessa marca. I nostri dispositivi ci spiano /1 pic.twitter.com/oxDzLi1Uoh— Paolo Attivissimo (@disinformatico) December 10, 2019
L’ipotesi leggermente complottista che i nostri smartphone ci abbiano ascoltato in questo caso è poco plausibile. Abbiamo parlato di tablet, ma il nome della marca è stato citato una singola volta (fuori onda) da uno dei conduttori, e oltretutto remarkable è una parola inglese molto comune.
Se la pubblicità iper-mirata si basasse sull’ascolto delle nostre conversazioni in studio, questo ascolto avrebbe dovuto rilevare le parole tablet e remarkable e associarle nonostante il fatto che erano state dette in momento piuttosto distinti e non certo consecutivamente: un livello di sofisticazione piuttosto implausibile.
Oltretutto, l’ipotesi è già stata smentita da varie ricerche (BBC/Wandera; CBS News), anche se i sospetti rimangono. Facebook, per quel che vale, ha categoricamente negato di usare i microfoni dei telefonini in questo modo.
C’è una spiegazione possibile molto più semplice: il mio smartphone potrebbe aver rilevato il tablet tramite Bluetooth e trasmesso questo rilevamento a Instagram, che avrebbe quindi proposto la pubblicità di un oggetto che sapeva che era (o era stato) vicino a me e quindi poteva interessarmi.
Questa possibilità tecnica è prevista esplicitamente dalle condizioni di contratto di Instagram:
...we collect information from and about the computers, phones, connected TVs and other web-connected devices you use that integrate with our Products, and we combine this information across different devices you use. For example, we use information collected about your use of our Products on your phone to better personalize the content (including ads) or features you see when you use our Products on another device, such as your laptop or tablet, or to measure whether you took an action in response to an ad we showed you on your phone on a different device.Information we obtain from these devices includes:
Device attributes: information such as the operating system, hardware and software versions, battery level, signal strength, available storage space, browser type, app and file names and types, and plugins. Device operations: information about operations and behaviors performed on the device, such as whether a window is foregrounded or backgrounded, or mouse movements (which can help distinguish humans from bots). Identifiers: unique identifiers, device IDs, and other identifiers, such as from games, apps or accounts you use, and Family Device IDs (or other identifiers unique to Facebook Company Products associated with the same device or account). Device signals: Bluetooth signals, and information about nearby Wi-Fi access points, beacons, and cell towers.
Una lettrice mi ha inoltre contattato in privato per dirmi che la stessa pubblicità le è comparsa dopo aver semplicemente letto il mio tweet e le relative risposte.
Certo, potrebbe trattarsi di memoria selettiva: reMarkable sta mandando la pubblicità a tanti utenti e se ne ricordano solo quelli che hanno visto la mia segnalazione in proposito. Ma io seguo molto il settore dei tablet, specialmente quelli con e-ink, e credo che mi ricorderei se avessi già visto quel prodotto (fra l’altro molto ben fatto e interessante).
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In altre parole, i nostri telefonini non ci ascolterebbero continuamente alla ricerca di parole chiave pubblicitarie per tre ragioni fondamentali:
- Sarebbe illegale e la rivelazione di un servizio del genere sarebbe catastrofica per la reputazione del social network o motore di ricerca che lo usasse.
- Sarebbe molto onerosa in termini computazionali (miliardi di riconoscimenti vocali continui in centinaia di lingue e trasmissione del flusso di dati ai rispettivi server).
- I social network e i motori di ricerca non ne avrebbero bisogno perché sanno già tutto quello che serve di noi grazie alle cose che scriviamo o cerchiamo, all’elenco degli amici e delle loro occupazioni, alla geolocalizzazione e ai vari sensori presenti negli smartphone.
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