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2020/06/29

Storie di Scienza 10: Smaltire i rifiuti nucleari mandandoli nello spazio? Perché no?

Ultimo aggiornamento: 2020/06/30 10:40.

Un’astronave Aquila di Spazio 1999 trasporta scorie radioattive sulla Luna.
Credit: Scale Model News.

Gennaio 1976: debutta alla RAI Spazio 1999, una delle rarissime produzioni di fantascienza della RAI (in questo caso una coproduzione con la britannica ITC). Sfoggia un cast di prim’ordine, con attori come Martin Landau e Barbara Bain, effetti speciali sofisticatissimi per l’epoca e un design realistico e ultramoderno (i protagonisti avevano un comunicatore con la TV incorporata che il capitano Kirk di Star Trek se lo sognava). Ambientata, come avrete intuito, nel 1999, che allora era un prossimo futuro, la sua premessa è che la Luna è diventata il deposito sicuro delle scorie radioattive delle centrali nucleari terrestri, gestite tramite il personale della base lunare internazionale Alpha.

Ma ovviamente qualcosa va storto, e le scorie accumulate esplodono, scagliando la Luna fuori dalla sua orbita e lanciandola insieme agli Alphani in un avventuroso viaggio nel cosmo che proseguirà per 48 episodi, suddivisi in due stagioni, con un rimpasto del cast al termine delle prime ventiquattro puntate.

Che premessa stupida, direte voi. Lasciamo stare le incongruenze fisiche più evidenti di Spazio 1999, tipo l’esplosione nucleare che fa da motore per la Luna senza spaccarla in mille frammenti o la velocità molto superiore a quella della luce che la Luna dovrebbe avere per incontrare un pianeta alieno ogni settimana. Stiamo sul concreto. Chi mai sarebbe così idiota da pensare seriamente di caricare delle scorie radioattive su un razzo altamente esplosivo e mandarle nello spazio?

La Commissione per l’Energia Atomica del governo degli Stati Uniti, ecco chi.

Gerry e Sylvia Anderson, i creatori di Spazio 1999, non erano stati affatto stravaganti nel concepire la parte nuclear-ecologica della premessa della serie. Nel 1974, due anni prima del debutto della serie di fantascienza alla RAI, la suddetta Commissione per l’Energia Atomica (Atomic Energy Commission, AEC) aveva proposto, in tutta serietà, di caricare le scorie radioattive sugli Space Shuttle, che all’epoca erano in fase di progettazione, e spararle nello spazio.

Se non ci credete, il documento dell’AEC si intitola High-level radioactive waste disposal, a firma di R.C. Battelle Pacific Northwest Labs.



Nel 1974, in piena crisi petrolifera, iniziata l’anno precedente con le file ai distributori di benzina in buona parte del mondo occidentale, i prezzi dei carburanti e dei combustibili da riscaldamento che andavano alle stelle e il blocco totale del traffico automobilistico di domenica in Italia, sembrava evidente e inevitabile che l’energia atomica, ottenuta per fissione nei reattori delle centrali nucleari, sarebbe stata la soluzione alla crisi, togliendo ai paesi petroliferi gran parte del loro improvviso strapotere.

Il documento AEC prevedeva negli Stati Uniti, entro il 2000, circa 1.200.000 megawatt di capacità nucleare. Un piano ambizioso, visto che al momento della stesura del documento i megawatt installati erano solo 15.000. Le centrali nucleari avrebbero generato la metà dell’energia elettrica negli Stati Uniti.

Le previsioni del documento AEC.


Queste centrali nucleari avrebbero ovviamente prodotto scorie: entro il 2000 si sarebbero accumulati circa 13.500 metri cubi di residui altamente radioattivi particolarmente longevi, di cui sarebbe stato necessario sbarazzarsi in qualche modo.

Così il documento dell’AEC prendeva disinvoltamente in considerazione tre metodi: l’incapsulamento e la sepoltura in aree geologicamente stabili degli Stati Uniti, sul fondo degli oceani o nei ghiacci della Groenlandia o dell’Antartide (altra idea che oggi pare un tantinello meno geniale), la trasmutazione nucleare e il disposal in space: lo smaltimento nello spazio.

Un deposito di scorie sulla Luna in Spazio 1999, prima del grande kaboom del 13 settembre 1999.

Erano ipotizzati tre tipi di smaltimento spaziale:

  • il solar impact, ossia scagliare le scorie verso il Sole (cosa difficilissima, perché per lanciare un oggetto nello spazio in modo che cada verso il Sole bisogna prima compensare la velocità orbitale della Terra, ossia circa 30 km/s o 107.000 km/h, molto superiore a quella degli attuali veicoli spaziali);
  • l’orbiting, in cui le scorie sarebbero rimaste in orbita intorno alla Terra;
  • e il solar escape to deep space, che avrebbe inviato le scorie su una traiettoria di fuga dal sistema solare (e paradossalmente richiede una velocità molto minore di quella necessaria per viaggiare verso il Sole: bastano 16,6 km/s per uscire per sempre dal sistema solare). 

La Luna non era stata considerata esplicitamente, anche se il tug, il rimorchiatore spaziale che vedete nello schema qui sotto, serviva proprio per spedire carichi dove lo Shuttle non arrivava, e fra queste destinazioni c’era anche il nostro satellite naturale.

Lo schema di, come dire, smaltimento nucleare proposto dal documento dell’AEC.


Lo Space Shuttle sarebbe dovuto diventare il “camion” dello spazio, un veicolo riutilizzabile che avrebbe fatto crollare i costi dei voli spaziali. Nel 1973 era stata definita solo la sua architettura generale e doveva ancora iniziare la costruzione del primo esemplare, battezzato Enterprise (sì, in onore dell’astronave di Star Trek). Ma si sapeva già che avrebbe avuto un enorme serbatoio esterno pieno di idrogeno e ossigeno e due razzi laterali a propellente solido che non potevano essere spenti una volta accesi: una configurazione delicatissima. Cosa mai sarebbe potuto andare storto nel caricarci delle scorie radioattive?

Eppure l’idea veniva proposta con un certo entusiasmo, soprattutto perché consentiva di sbarazzarsi subito e permanentemente delle scorie, senza doverle custodire e sorvegliare per decenni o, in alcuni casi, secoli: “lo smaltimento extraterrestre offre un metodo per la rimozione completa dalla Terra dei componenti a lunga vita delle scorie nucleari”.

Gli esperti proponevano di usare lo Shuttle in questo modo: “verrebbe lanciato in orbita circolare terrestre bassa. Da quest’orbita, i rimorchiatori o stadi superiori verrebbero lanciati per portare il pacchetto di scorie alla sua destinazione finale”. Però, notavano, “ci sono possibili problemi di sicurezza dei lanci” ed “esiste la possibilità di disaccordi internazionali”. Ma non mi dire. Uno Shuttle che precipita, che so, sulla Francia e la dissemina di frammenti altamente radioattivi potrebbe, chissà, portare a “disaccordi”? Chi l’avrebbe mai detto?

I sovietici non si fecero troppi problemi e lanciarono in orbita interi reattori nucleari nei loro satelliti di ricognizione. Nel 1978 (solo cinque anni dopo la proposta dell’AEC), il satellite Kosmos 954 precipitò fuori controllo, spandendo 50 chili di uranio-235 sul Canada lungo una fascia di 600 chilometri. Le operazioni di recupero e bonifica permisero di ritrovare dieci frammenti radioattivi, uno dei quali era sufficiente a uccidere una persona che vi rimanesse in contatto per qualche ora.

Gli Stati Uniti furono quasi altrettanto disinvolti, lanciando in orbita vari reattori, riscaldatori o generatori termoelettrici alimentati da plutonio-238 o uranio-235. Per alimentare gli strumenti delle sonde spaziali che viaggiano lontano dal Sole, come le Pioneer o le Voyager, l’energia nucleare è l’unica soluzione possibile. Ciascuno degli allunaggi Apollo (1969-1972) portò sulla Luna dei riscaldatori o generatori termoelettrici nucleari (Apollo 13 fece precipitare il proprio nell’Oceano Pacifico in seguito all’incidente avvenuto durante il viaggio, che impose un ritorno d’emergenza); i veicoli Lunokhod sovietici (1970-1973) portarono sulla Luna dei riscaldatori al polonio-210, e nel 2013 il veicolo cinese Chang’e 3 è allunato con un riscaldatore contenente plutonio-238. Alla fine, insomma, un po’ di scorie radioattive sulla Luna le abbiamo lasciate.

Ma a parte questi casi, le cose non andarono affatto secondo le previsioni degli autori dello studio. L’energia nucleare non si impose, dopo incidenti come quelli di Three Mile Island (1979) e di Chernobyl (1986) che scossero la fiducia dell’opinione pubblica: negli Stati Uniti ci sono oggi circa 98.000 MW di capacità nucleare (neanche un dodicesimo di quanto previsto allora).

Anche lo Shuttle dimostrò tragicamente, ben due volte, che un razzo non è un veicolo sul quale è assennato trasportare materiale altamente radioattivo. Il Challenger esplose poco dopo il decollo nel 1986 e il Columbia si disintegrò al rientro nel 2003. Entrambi portarono con sé le vite dei sette astronauti dei loro equipaggi. I piani di volare a cadenza quasi settimanale furono drasticamente ridimensionati e il “camion” divenne una costosissima Cadillac che gravò sul budget della NASA per trent’anni. Certo, permise di costruire man mano la Stazione Spaziale Internazionale: ma non dimentichiamo che per farlo sarebbero stati sufficienti sei voli di un razzo Saturn V lunare. Non è teoria: uno di questi vettori giganti aveva portato in orbita terrestre l’intera stazione spaziale Skylab nel 1973. Settantasette tonnellate in un sol colpo.

Col senno di poi non sembra che ci volesse una patente da superesperto di energia nucleare per capire che anche soltanto proporre di sparare roba radioattiva nello spazio su un missile era un’idea totalmente cretina. Ma nel 1974 la NASA aveva appena raggiunto la Luna con ben nove missioni, atterrandovi sei volte, e non aveva mai perso un astronauta in volo. I suoi razzi sembravano infallibili.

Inoltre la coscienza ecologica era ancora embrionale: era ancora diffuso lo slogan the solution to pollution is dilution (“la soluzione all’inquinamento è diluire”) e quindi buttare in mare (o nello spazio) contenitori di rifiuti radioattivi pareva perfettamente normale. E soprattutto economicamente conveniente. A certa gente quest’abitudine non è ancora passata.

Abbiamo imparato a carissimo prezzo quanto erano sbagliate quelle idee che sembravano così solide allora. Viene da chiedersi, allora, quali sono le nostre serene certezze di oggi di cui dovremo pentirci nei prossimi decenni.

Di una cosa, di certo, non mi pentirò: della cotta che presi da adolescente per Sandra Benes. Su base Alpha lei era tecnico informatico. Coincidenza?

Citare Spazio 1999 e non includere una foto di Sandra Benes (Zienia Merton) è vietato dalla Convenzione di Ginevra.


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