Dalla Norvegia arriva la notizia che una scuola ha dovuto interrompere l’uso del servizio di videoconferenza Whereby perché durante una videolezione un uomo si è introdotto digitalmente nella videoconferenza di gruppo e ha avuto l’infelice idea di mostrarsi nudo.
L’intrusione è avvenuta perché l’uomo è stato in grado di indovinare il link pubblico della videolezione.
Il problema non è nuovo ed è noto agli esperti da tempo, ma ovviamente è esploso adesso per via dell’improvviso aumento dell’uso di questi strumenti di comunicazione: a ogni videoconferenza è assegnato un identificativo, un meeting ID, che non è difficile indovinare o trovare per tentativi.
Il rimedio è facile: proteggere la videoconferenza con una password, come indicato nelle istruzioni di configurazione dei vari servizi, come Zoom o Webex.
SamuraiSecurity ha alcuni consigli aggiuntivi, come disabilitare le telefonate o proteggerle con un PIN e attivare l’autenticazione a due fattori, soprattutto per chi è amministratore della videoconferenza. Questo è particolarmente importante per chi registra le sessioni, altrimenti chiunque abbia accesso all’account dell’amministratore può scaricarsi qualunque sessione registrata.
C’è anche un aspetto di privacy non trascurabile specificamente in Zoom: la sua versione per iOS manda informazioni a Facebook anche se l’utente non ha un account Facebook, e questo fatto non è indicato nelle informazioni di privacy di Zoom. Facebook viene a sapere quando l’utente apre l’app, che tipo di dispositivo usa, in che città si trova, quale operatore usa e un identificativo per inviare all’utente pubblicità mirata.
Fonte aggiuntiva: TechCrunch; Vice.com.
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