Cerca nel blog

2020/12/21

Storie di (pseudo)scienza 14: Quella volta che andai a una seduta spiritica

Ultimo aggiornamento: 2020/12/22 10:40.

La parapsicologia mi ha affascinato sin da ragazzino. L’idea che si potessero leggere i pensieri o trasmetterli a distanza, o che quei piegatori di cucchiai che vedevo alla TV fossero realmente una nuova frontiera della conoscenza, mi entusiasmava. Poi mi accaddero due cose che contribuirono tantissimo a farmi diventare il cacciatore di bufale e debunker che sono oggi.

La prima fu la lettura folgorante di Viaggio nel Mondo del Paranormale di Piero Angela (ho ancora qui la mia copia del 1979, che decenni dopo riuscii a farmi autografare da Angela e da James Randi), ispirata dalla visione della sua serie di documentari Indagine sulla parapsicologia alla Rai (1978). In TV avevo anche visto il prestigiatore Silvan che faceva un’operazione chirurgica a mani nude come i guaritori filippini (come descritto nel libro di Angela): persino sulla mia TV in bianco e nero era particolarmente impressionante. Coincidenza delle coincidenze, in quella serie di Piero Angela c’era anche un allievo di James Randi che anni dopo avrei ritrovato come figura chiave del complottismo sull’11 settembre, ma questa è un’altra storia.

Scoprire che quei fenomeni erano frodi o autoinganni fu un misto di delusione, incredulità e rabbia verso chi ingannava il prossimo, che però fu compensato dalla scoperta delle loro tecniche e dei meccanismi di autoinganno che si annidano in ciascuno di noi. Una porta si chiudeva, ma se ne apriva una ancora più interessante.

La seconda cosa che mi capitò fu una seduta spiritica. Ve la racconto come me la ricordo: i dialoghi sono grosso modo quelli reali, ossia ne rispecchiano il senso anche se non sono letterali.

All’epoca ero sedicenne e abitavo a Bereguardo, uno dei tanti nebbiosi e soporiferi paesini della Lombardia: quattro case, sei cascine, una chiesa, una rosticceria, una scuola, una scritta “Credere obbedire combattere” ancora leggibile sul muro nella piazza principale, uno scalcinato cinema all’oratorio, tante zanzare e poco altro. Una famiglia che arrivava da fuori, come noi, era talmente strana che eravamo noti semplicemente come “gli inglesi”. Una delle poche amiche di mia madre era convinta che noi avessimo la bocca fatta in modo diverso perché sapevamo pronunciare il th di toothpaste. C’era anche una “discoteca”, poco più di uno stanzone con un impianto audio, un po’ di luci colorate, qualche divano igienicamente discutibile e un modesto spazio centrale dove ballare, ma era sufficiente ad attirare i giovani della zona che non avevano l’auto per andare altrove. Purtroppo attirava anche gente poco raccomandabile da fuori, tanto che una sera la quiete del paesino fu scossa dalla notizia dell’uccisione di uno dei buttafuori.

Il locale rimase chiuso a lungo dopo la tragedia, e ad alcuni ragazzi della mia compagnia venne un’idea macabra: organizzare una seduta spiritica proprio in quella discoteca. Erano gli anni in cui andava in onda in TV lo sceneggiato La Traccia Verde (1975), in cui il testimone principale di un assassino era una pianta con la quale si poteva comunicare e che captava le “vibrazioni” del colpevole, ed erano di moda i piegatori di cucchiai “col pensiero” come Uri Geller. Alla TV si facevano esperimenti per trovare i “mini-Geller” italiani (la trash TV non è un’invenzione di oggi) e spopolavano i maneggiatori di pendolini (non i treni, ma i ciondoli appesi a un filo da far girare sopra un oggetto per estrarne messaggi ultraterreni). Il paranormale era, si direbbe oggi, diventato mainstream. Per cui la proposta fu accolta con brivido e interesse da molti di noi, me compreso.

La seduta sarebbe avvenuta usando la cosiddetta Ouija board: una tavola sulla quale si appoggiava un bicchiere capovolto, sul quale tutti i partecipanti appoggiavano un solo dito. Il bicchiere si sarebbe spostato, guidato dagli “spiriti”, verso le lettere dell’alfabeto disposte in cerchio sulla tavola (per facilitare le cose, oltre all’alfabeto molte Ouija board avevano anche un “Sì” e un “No” e le cifre).


Ispirato da una scena analoga di Le guide del tramonto di Arthur C. Clarke, in cui veniva descritta una Ouija board altamente tecnologica e ipersensibile grazie a cuscinetti che consentivano una scorrevolezza eccezionale e risultati straordinari, mi offrii di fornire io la tavola Ouija per la seduta. Invece del solito legno, che aveva un attrito notevole, mi procurai una lastra di alluminio levigatissima (mio padre lavorava come dirigente alla Alucaps, che faceva tappi partendo appunto da fogli di alluminio, per cui c’era parecchio materiale di scarto) e vi applicai delle lettere adesive. Un calice di vetro vi scivolava magnificamente.

Arrivò la sera della seduta. I proprietari del locale davano spesso il permesso ai ragazzi del paese di usare la sala per delle feste private, per cui ci trovammo sul posto con il loro consenso. Semplicemente ci, uhm, dimenticammo di dire loro che quella sera avremmo svolto una seduta spiritica e l’avremmo fatta proprio lì perché c’era morto qualcuno.

Con le luci basse e il silenzio in sala, ragazzi e ragazze appoggiarono leggermente un dito sul fondo del bicchiere rovesciato e lo feci anch’io. Uno dei ragazzi chiese ad alta voce, con un filo d’imbarazzo: “C’è qualcuno?”

Il bicchiere tremò un istante, poi cominciò a scivolare sull’alluminio, dirigendosi con crescente decisione verso il “Sì”, fra lo stupore di tutti. Beh, quasi tutti. Io e un’altra persona, alla quale avevo confidato il segreto sulle tecniche di manipolazione delle tavole Ouija, rimanemmo impassibili a osservare le espressioni degli altri. Alcune ragazze erano già agitatissime e volevano andarsene.

Cominciarono le domande: chi sei, con chi vuoi parlare, cosa ci vuoi dire. Il bicchiere si mosse a velocità impressionante: alcuni non riuscivano neppure a inseguirlo e le loro dita si staccavano dal calice. Le risposte degli “spiriti” erano vaghe: singole parole, che poi i partecipanti interpretavano in vari modi molto personali.

Dopo alcuni minuti, visto che avevo osservato a sufficienza gli indizi rivelatori suggeriti dal libro di Piero Angela e da altri libri di illusionismo, capii cosa stava succedendo. Avevo pensato inizialmente che fosse soltanto una questione di movimenti ideomotori, ossia dei tremolii inconsapevoli delle mani che, moltiplicati dal numero di dita appoggiate, generano gli spostamenti del bicchiere e lo rendono libero di scorrere in ogni direzione. Questi spostamenti inizialmente casuali poi vengono guidati inconsciamente dai partecipanti: quando tutti cominciano a notare che il bicchiere va verso una direzione, senza rendersene conto lo assecondano. Questo è quello che avviene normalmente nelle sedute spiritiche condotte in buona fede.

Ma qui era diverso. Due ragazzi fra i più grandi della compagnia stavano manovrando il bicchiere per farci paura, e io avevo capito chi erano. Non posso spiegare qui come era possibile accorgersene, perché queste tecniche di smascheramento possono tornare utili per altri debunking di altri imbroglioni, ma era un fenomeno fisico relativamente semplice che era evidente per qualunque osservatore attento che ne fosse a conoscenza ma passava inosservato agli occhi del profano incantato dall‘emozione di una seduta spiritica. Lo aveva notato anche la persona alla quale avevo confidato quelle tecniche segrete.

Guardando la paura sui volti delle persone presenti, decisi che una frode del genere era pericolosa e andava fermata in qualche modo prima che i due ragazzi approfittassero del loro potere di suggestione e la cosa sfuggisse di mano. Ma c’erano due rischi: il primo era di non essere creduto nella spiegazione (la superstizione abbondava) e il secondo era di essere menato dai due ragazzi, che non erano dei santarellini.

Così ebbi l’idea di usare contro i truffatori le loro stesse armi: presi il controllo del bicchiere.

Può sembrare strano, ma è molto più facile di quel che si pensa, e non se ne accorge nessuno. Feci scrivere al bicchiere una sola parola molto corta: M… O… R… T… E. I presenti ebbero un sussulto già dopo le prime lettere.

Mentre comandavo il bicchiere, guardavo le espressioni dei due sospettati: si stavano scambiando sguardi increduli, domandandosi con gli occhi “Ma lo stai muovendo tu?” e rendendosi conto che nessuno dei due stava pilotando il bicchiere. Si guardavano intorno, esplorando i volti dei presenti, cercando di capire chi avesse preso il controllo, e soprattutto come lo avesse preso.

“Morte? Di chi?” chiese qualcuno.

Il bicchiere cominciò a scrivere la risposta, muovendosi con risolutezza. I due ragazzi imbroglioni continuavano a guardarsi senza capire cosa stesse succedendo, perché io sapevo qual era la loro tecnica per muovere il bicchiere, mentre loro non sapevano quale fosse la mia (ci sono vari modi per farlo, alcuni più evidenti di altri) e quindi non riuscivano a identificare chi (o cosa) stesse spostando il bicchiere, che oltretutto spesso si muoveva anche mentre sembrava che mi sfuggisse da sotto il dito.

Non ricordo le parole esatte che feci scrivere agli “spiriti” quella sera, ma il senso della risposta fu molto chiaro: qualcuno sarebbe dovuto morire molto presto. Poi, all’ennesima richiesta di rivelare chi era il predestinato, il bicchiere cominciò a scrivere i cognomi dei due ragazzi che avevano tentato l’inganno.  

Lo spavento fu tale che la seduta fu interrotta immediatamente e nella nostra compagnia non se ne fecero mai più. Per superstizione o per timore di essere stati smascherati, i due ragazzi non provarono più a imbrogliare nessuno con lo spiritismo. 

Cosa più importante, nessuno mi menò.


 

Questo articolo fa parte delle Storie di Scienza: una serie libera e gratuita, resa possibile dalle donazioni dei lettori. Se volete saperne di più, leggete qui. Se volete fare una donazione, potete cliccare sul pulsante qui sotto. Grazie!

Nessun commento: