L'equipaggio dell'Apollo 11 insieme per discutere del futuro dello spazio
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Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins, i tre membri dell'equipaggio della missione Apollo 11, e il creatore del Controllo Missione e direttore del Johnson Space Center dell'epoca, Chris Kraft, hanno partecipato oggi alle 20 (ora di Washington) alla John H. Glenn Lecture, una conferenza annuale che si tiene al National Air and Space Museum dello Smithsonian Institution a Washington, DC.
Quest'anno la conferenza è stata dedicata naturalmente al quarantesimo anniversario del primo sbarco sulla Luna. L'evento, una delle rarissime apparizioni pubbliche di Neil Armstrong, è stato trasmesso in diretta da NASA TV anche via Internet e grazie al fuso orario io ho avuto il piacere di tirare le tre e mezza del mattino per potervela raccontare.
La presentazione è stata fatta nientemeno che da John Glenn, il primo americano a orbitare intorno alla Terra, seguito da Chris Kraft, che ha rievocato l'atmosfera di quegli anni delle origini della corsa allo spazio e le mille incognite tecnologiche che c'erano quando Kennedy lanciò alla NASA la sfida di atterrare sulla Luna e gli Stati Uniti non avevano ancora lanciato un uomo in orbita intorno alla Terra. Ha concluso con un appello al presidente Obama: la NASA deve investire in ricerca, non solo in mantenimento dello status quo tecnologico.
Buzz Aldrin ha invece lanciato la sfida più spavalda: fare più che rimettere qualche impronta sulla Luna e osare tornare a nuove esplorazioni esaltanti nei prossimi quarant'anni.
Ha proposto che gli Stati Uniti vadano su Marte con missioni umane e che la Luna sia invece il terreno d'esercizio degli altri paesi.
Anche Apophis, l'asteroide che potrebbe colpire la Terra nel 2036, il satellite Phobos che orbita intorno a Marte, e le comete, sono destinazioni alle quali ambire per missioni umane, commerciali e governative. Missioni che secondo Buzz sono tecnicamente fattibili entro vent'anni da oggi e servono per ispirare le nuove generazioni. Tecnicamente lo possiamo fare, ha detto, con un richiamo marcato allo slogan "Yes we can" di Obama: l'importante è volerlo fare. Abbiamo ancora il coraggio di osare?
Michael Collins, che fra l'altro è stato direttore dello Smithsonian dove si è tenuta la conferenza, ha fatto un discorso dolce, emotivo e molto allegro, condito da battute che hanno fatto da contrasto alla determinazione di Aldrin. Ha raccontato, per esempio, di aver chiesto alla figlia che cosa avrebbe detto se le fosse toccato di scegliere cosa dire nello scendere da quella storica scaletta sulla Luna in mondovisione: lei, racconta Collins, avrebbe scelto "Questa tuta mi ingrassa?"
Collins ha commentato l'emozione che evoca in lui la fotografia del modulo lunare che si staglia contro la superficie della Luna, con la Terra sullo sfondo, che è una fotografia di tutta l'umanità: "tre miliardi di persone in quella cosina lassù, due in quella cosa grossa qui e una, il fotografo, che si tiene modestamente fuori dall'inquadratura".
Ha anche sottolineato le devastazioni ambientali prodotte dal modello economico attuale ("Crescere o perire? Mi sa che faremo tutt'e due"), messe in luce dall'esplorazione spaziale che ha permesso di trascendere i discorsi e di far capire il problema mostrando la Terra come un gioiello molto fragile, sospeso in uno spazio vuoto e inospitale. Anche lui vuole andare su Marte e lo ha descritto come una destinazione molto meno difficile e inospitale della Luna.
Per Collins l'eredità fondamentale delle missioni Apollo è l'aver lasciato la culla: è questo lo spartiacque della storia creato da quella serie di imprese. E si è dichiarato soprattutto fortunato nella sua carriera e nella sua vita: "Mettete 'fortunato' sulla mia tomba – ma non troppo presto!"
Neil Armstrong si è preso subito una standing ovation e si è rivelato un relatore divertito e divertente, smentendo le dicerie giornalistiche che lo dipingono come un alienato scontroso. Forse se i giornalisti gli facessero domande meno alienanti permetterebbero alla sua verve di emergere.
Nella sua relazione ha spaziato dalle ricerche missilistiche di Robert Goddard alla governance alla geofisica, ricordando la sorpresa e le umiliazioni degli Stati Uniti da parte dell'Unione Sovietica nelle prime fasi della corsa allo spazio, che furono però lo stimolo per una rivalsa e uno sforzo coordinato che mise da parte le beghe quotidiane di fronte alla sfida di andare sulla Luna.
Per lui la corsa alla Luna fu un investimento eccezionale, perché permise agli Stati Uniti e all'allora Unione Sovietica di trasferire in parte la propria rivalità dal puntarsi addosso missili nucleari a una competizione positiva, basata sul dimostrare che la loro scienza, e non le loro bombe, erano superiori, creando così sviluppo culturale e tecnologico per tutti.
Al termine il pubblico, fra i quali vi sono molti astronauti passati e presenti e Gene Kranz, ha tributato un applauso in piedi ad Armstrong, Aldrin e Collins.
A noi non resta che sperare che le loro parole di visione, crescita e coraggio e la loro testimonianza personale vengano ascoltate da chi decide se scialacquare in bombe e guerre o se investire in ricerca e sviluppo, in pace per tutta l'umanità, come recita la targa che due di questi tre vispi nonnetti posero quarant'anni fa sulla Luna.
L'assordante silenzio dei lunacomplottisti
Di fronte alla pubblicazione delle primissime foto dei veicoli Apollo sulla Luna (che verranno seguite da immagini più dettagliate), di fronte alla massa immensa di documenti, filmati e reperti, di fronte alle conferme degli astronauti italiani, i lunacomplottisti sono stati sostanzialmente zitti in questi giorni di commemorazione e festeggiamento. Speravate che avessero visto la luce, o almeno avuto la dignità di accettare mestamente lo sgonfiarsi flaccido della loro bolla di irrealtà? Macché.
Massimo Mazzucco alla fine ha partorito un articoletto nel quale prende addirittura la difese delle tesi di Bart Sibrel. Potete leggerlo qui tramite Proxify, così non gli fate salire il pagerank e gli introiti pubblicitari. Non facciamo regali agli ottusangoli.
Inutile perdere tempo a sbufalare in dettaglio quelle tesi: è già stato fatto egregiamente da altri. In sintesi, quello che Sibrel spaccia per un video inedito in cui gli astronauti dell'Apollo fingono di essere lontani dalla Terra quando secondo lui sarebbero ancora in orbita intorno al nostro pianeta è semplicemente una delle prove di trasmissione TV fatte durante la missione, e non è affatto inedito: è raccolto nel DVD della Spacecraft Films dedicato all'Apollo 11 e ne ho qui una copia sulla mia scrivania. Ma nella versione integrale, non quella tagliata ad arte da Sibrel e accettata supinamente da Mazzucco.
Mazzucco conclude accusando gli astronauti Apollo di essere bugiardi: "E complimenti al grande eroe Buzz Aldrin, che mostra di essere davvero "uno che ha fatto la storia": la storia della menzogna, con la quale ha dimostrato di saper convivere ormai comodamente da moltissimi anni. Almeno Armstrong ha sempre avuto la dignità di stare zitto" (evidentemente non ha visto la conferenza di oggi, nella quale Armstrong è stato decisamente garrulo in proposito; è uno dei tanti esempi di balla spaziale detta da Mazzucco per puntellare le proprie tesi).
Che strano. Mazzucco, che vive negli Stati Uniti, non è andato alla conferenza di Washington o a nessun'altra delle tante apparizioni di Aldrin, in giro per gli USA e per il mondo, a dargli in faccia del bugiardo. Ha trovato molto più comodo lanciare letame standosene nell'utero protetto e accogliente del proprio sito che affrontare di persona tre nonnetti quasi ottantenni. Temeva che lo pestassero?
E questo, al di là ogni disquisizione sulle presunte prove dei lunacomplottisti, è la misura della loro pochezza.
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