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2009/12/16

Censura e filtri? Buona fortuna

Filippica: furori Facebookiani fomentano filtri futili, facili follie


È colpa di internet. È sempre colpa di Internet. È sempre tutta colpa di Internet. Ogni volta che avviene qualche evento violento clamoroso, tutti corrono a dare la colpa alla Rete e invocano il bisogno di censure, controlli, classificazioni, schedature e filtraggi. Dopo l'aggressione a Berlusconi è tutto un fiorire di proposte di imbrigliare Internet e di leggi ad hoc per punire l'istigazione a delinquere commessa online e per l'apologia di reato in Rete. In Italia si parla di chiudere i siti Internet istigatori di violenza e di istituire filtri per la navigazione.

Come no: nascondiamo il problema, e il problema d'incanto sparirà. Mai mostrare foto di Carnera a terra, eccetera, eccetera. Tanto varrebbe proporre di ridurre le aggressioni violente vietando la vendita di modellini kitsch del Duomo di Milano, cosa che un pregio perlomeno l'avrebbe: quello di eliminare la piaga sociale dei souvenir di cattivo gusto.

Semmai sarebbe ora di guardare i fallimenti dei tentativi di censura e di controllo persino nei regimi più totalitari prima di imbarcarsi nel reinventare la ruota. Se neppure Cina, Egitto e Iran riescono a mettere in piedi barriere efficaci, farlo in un paese europeo non ha alcuna speranza di successo e avrebbe dei costi sociali enormi.

E sarebbe ora di guardare in faccia la realtà. È facile puntare il dito contro Internet, come se giornali e TV fossero luoghi nei quali la discussione è invece gestita in punta di forchetta, con una pausa per sorseggiare il tè prima di rispondere garbatamente alla dotta considerazione di un illuminato interlocutore dalle parole squisitamente misurate. Prima di chiedere pulizia in casa d'altri, sarebbe magari opportuno annusare l'aria in casa propria e chiedersi se per caso aver installato uno spandiletame in soggiorno possa aver lasciato qualche schizzo anche sul tappeto buono.

Trovo invece esemplare la lezione di vita impartita agli utenti di Facebook dal voltafaccia operato da alcuni gruppi del social network. Prima hanno raccolto centinaia di migliaia di adesioni spacciandosi per gruppi pro-terremotati, pro-gattini abbandonati e pro-rivogliamo-le-mezze-stagioni, poi hanno cambiato nome (un concetto tecnico che alcuni giornalisti non hanno capito, immaginandosi improvvise solidarietà organizzate magicamente online), schierandosi con Berlusconi o con il suo aggressore. Così chi sperava di salvare il mondo con una cliccata in Facebook s'è trovato improvvisamente sostenitore dell'agiografia più sfrenata o dell'istigazione al getto balistico di cattedrali.

Ancora una volta la Clausola del Gatto Sitwoy ha colpito con precisione darwinianamente chirurgica: davvero a nessuno era venuto in mente che dare la propria adesione pubblica, con tanto di proprio nome e cognome, a un'iniziativa priva di qualunque efficacia pratica, lanciata da un promotore anonimo, in un social network che cambia le proprie regole con la stessa facilità con cui si cambiano i calzini (rinominare un gruppo di Facebook prima non era ammesso, a quanto mi risulta), potesse prestarsi a qualche tiro mancino o strumentalizzazione?

Se è così, non ci resta che piangere.

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